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Agricoltura PrimoPiano

Agricoltura, danni da grandine: fare presto e riformare il sistema assicurativo

Gli ingenti danni riportati dalle colture nel Forlivese e nel Faentino dopo le grandinate dello scorso fine settimana, sono al centro di un atto formale che ho depositato alla Camera dei Deputati per segnalare la situazione al ministero dell’Agricoltura. Non è certo colpa del governo questo fenomeno atmosferico, ma al governo spetta adottare tutte le misure utili a sostenere gli agricoltori colpiti da questo fenomeno. Per questo motivo ho chiesto al ministero di velocizzare l’iter per il riconoscimento dello stato di calamità con l’obiettivo di procedere in tempi rapidi al ristoro dei per il comparto agricolo colpito.

L’ondata dello scorso weekend ha colpito frutteti in piena maturazione, dalle pesche alle albicocche fino ai vigneti ma danni significativi si registrano anche sul mais e su tutte le colture da seme e sui vegetali. Nel presentare l’interrogazione, ho colto l’occasione anche per rivolgere al ministero una richiesta più generale che sta molto a cuore ai coltivatori.

Ho fatto presente al ministero che forse è il caso rivedere, d’intesa con le organizzazioni del mondo agricolo e le Regioni, l’intero sistema assicurativo per rafforzare la tutela per le imprese, considerato il ripetersi di eventi calamitosi che rischiano di mettere in ginocchio un settore strategico per l’economia del Paese, ma in modo particolare per quello romagnolo.

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PrimoPiano Romagna

Fondi Cipe, ecco i soldi per 7 progetti in 7 Comuni

Finalmente i fondi CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) che abbiamo ottenuto a fine 2017 per interventi in sette Comuni del territorio forlivese saranno utilizzabili. Dopo un lungo e naturale iter di valutazione da parte della Corte dei Conti e i rallentamenti dovuti anche al cambio di Governo, è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la delibera con cui i fondi saranno a disposizione dei comuni per i progetti di recupero e riqualifica presentati lo scorso anno.
Quasi 2 milioni e mezzo di euro che verranno utilizzati da sette comunidella Romagna per progetti che avevo personalmente seguito e segnalato, portando dei sindaci interessati (di tutti i colori politici) l’opportunità e poi curando il rapporto con la presidenza del Consiglio. Si tratta di interventi l’amministrazione, che ha accolto 7 delle 8 domande che erano state avanzate. I cantieri potranno partire già nei prossimi mesi per riqualificare scuole, strade e luoghi d’arte. 

Vediamo nello specifico quali sono i comuni interessati e i cantieri che verranno realizzati:

Forlì – Lavori di adeguamento sismico della struttura dell’asilo nido “Le Farfalle”, in via Europa. Importo: 600mila euro.

Forlimpopoli – Riqualificazione complessiva delle scuole elementari “Don Milani”. Importo: 800mila euro.

Castrocaro – Recupero delle antiche cannoniere della fortezza di Castrocaro. Importo: 160mila euro.

Meldola – Ristrutturazione del ex macello, che ospiterà tra le altre cose la biblioteca comunale. Importo: 290.525 euro.

Civitella di Romagna – Interventi di messa in sicurezza dell’istituto comprensivo di via Moro. Importo: 120mila euro.

Galeata – Lavori di miglioramento e assestamento di un parte del centro storico, a partire da via Ferdinando Zannetti e tutta l’area circostante. Importo: 350mila euro.

Santa Sofia – Interventi di recupero urbanistico finalizzati al turismo enogastronomico presso l’area “Milleluci”. Importo: 176mila euro.

Sono felice anche per quelli che, con una punta polemica, nei giorni scorsi avevano messo in dubbio che quei soldi ci fossero davvero e che si trattasse solo di un annuncio elettorale. La forza dei fatti vince ancora una volta sulle polemiche. 

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Lavoro PrimoPiano Welfare

Lavoro, il Decreto Di Maio genera disoccupazione: le proposte alternative

In questi giorni qui a Montecitorio siamo impegnati nelle Commissioni su diversi provvedimenti (molti provengono ancora dal precedente Governo); il principale è il decreto Di Maio, che la maggioranza definisce “decreto dignità”. Penso sia un testo dannoso per il mondo del lavoro perchè riduce la flessibilità e non incentiva la stabilità, di fatto mettendo per strada da subito i lavoratori a tempo determinato, che non possono essere rinnovati per più di 24 mesi. Chi sta arrivando verso il 24esimo mese, infatti, in molti casi ha già avuto comunicazione del licenziamento. Si introducono vincoli, balzelli e complicazioni anche per le famiglie.

Ecco una serie di proposte alternative per migliorare il decreto e dare risposte al mondo del lavoro.

Riduzione del costo del lavoro sul tempo indeterminato: il lavoro stabile vale di più, deve costare meno. Serve abbassare i contributi a carico dei lavoratori di 4 punti in 4 anni sui contratti a tempo indeterminato. Si può fare a costi sostenibili per il bilancio pubblico.

– Salvaguardare chi oggi ha un contratto a termine con un incentivo alla trasformazione: i nuovi esodati creati dal Decreto Di Maio devono avere l’opportunità di essere stabilizzati, con un incentivo per la trasformazione a tempo indeterminato dei loro contratti.

– Introdurre una buonuscita per i lavoratori temporanei non stabilizzati dalle imprese. Per favorire la trasformazione dei contratti a termine in contratti stabili, si propone il pagamento ai lavoratori temporanei di una buonuscita compensatoria in caso di mancata stabilizzazione, proporzionata alla durata del contratto, e aggiuntiva rispetto al Tfr.

– Sperimentare il salario minimo: il decreto non affronta in alcun modo il tema dei salari e di coloro che vengono pagati con salari fuori da ogni dignità retributiva. Si potrebbe partire subito con una sperimentazione, per poi affinare meglio lo strumento e arrivare in tempi ragionevoli a introdurre anche in Italia il salario minimo legale.

– Tutele crescenti: a mantenere il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, che anche il Decreto Di Maio di fatto non snatura, apportandovi modifiche del tutto marginali. È importante adeguare l’offerta di conciliazione all’aumento delle indennità di licenziamento e riflettere su come aumentarle evitando allo stesso tempo il rischio di scoraggiare le assunzioni a tempo indeterminato.

– Colf e badanti: ci opponiamo ad aumenti di costo per le famiglie. Le famiglie italiane, a causa dell’aumento del costo dei rinnovi, rischiano di spendere centinaia di euro in più all’anno per l’assunzione di colf e badanti. L’effetto reale di questo aumento sarà quello di spostare molti di questi lavoratori nel lavoro nero. Serve escludere i contratti di lavoro domestico da questa disciplina e portare avanti l’intera deducibilità dei costi per le famiglie italiane.

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PrimoPiano

30 milioni di euro investiti dalla Regione per 120 progetti di riqualifica e costruzione di nuovi impianti sportivi. I progetti provincia per provincia.

Un ingente piano di investimenti per la ristrutturazione o la costruzione ex novo di impianti sportivi in tutta la nostra Regione, che interesserà 120 comuni da Piacenza a Rimini. Ieri il Presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, ha annunciato uno stanziamento pari a 30 milioni di euro per la costruzione di nuovi palazzetti dello sport e di strutture per tutte le discipline (calcio, rugby, ciclismo, beach tennis, fitness e bocce) senza dimenticare le strutture paralimpiche, gli spazi all’aperto, le palestre (scolastiche e non) e le piscine. Un investimento destinato a salire a 35 milioni di euro che ne genererà altri 100, secondo le previsioni della giunta, che ieri ha approvato la graduatoria definitiva del bando dichiarando ammissibili al finanziamento 120 progetti sulle 175 domande arrivate.

Nello specifico, sono previsti 7 interventi nella provincia di Ravenna per un importo di 2,4 milioni di euro; 10 in quella di Forlì-Cesena per 3,2 milioni e 12 in quella di Rimini per 3,5 milioni. Vediamo nello specifico di cosa si tratta.

Nel comprensorio ravennate:

– A Ravenna verrà finanziato il progetto presentato dal Comune sulla “Città delle arti e dello sport”.
Importo: 1 milione di euro.

– Ad Alfonsine si procederà con la demolizione e ricostruzione della palestra della scuola di Longastrino. Importo: 500mila euro.

– A Faenza è prevista la ristrutturazione e l’ampliamento del palazzetto dello sport “Dino Bubani” in piazzale Pancrazi. Importo: 400mila euro.

Nel comprensorio forlivese:

– A Castrocaro Terme e Terra del Sole verrà realizzata la nuova palestra del polo scolastico. Importo: 500mila euro.

– A Forlì verrà realizzato un centro sportivo polivalente per ciclismo e rugby. Importo: 499mila euro.

Comprensorio cesenate:

– Nel Comune di Sarsina si procederà alla realizzazione di un nuovo palazzetto dello sport e di un campo da gioco esterno. Importo: 500mila euro.

– A Cesenatico verrà realizzato un impianto sportivo all’aperto in località Villamarina di Cesenatico. Importo: 500mila euro.

– Nel Comune di Mercato Saraceno è previsto l’ampliamento, la riqualificazione, l’efficientamento energetico e miglioramento delle strutture del Centro Sportivo comunale in Via S. Pertini. Importo: 490mila euro.

Comprensorio riminese:

– Nel Comune di Rimini verrà riqualificato l’impianto sportivo per il gioco del rugby e del baseball nel Centro Sportivo Rivabella – Via XXV Marzo. Importo: 509mila euro.

– Nel Comune di Cattolica si interverrà sulla manutenzione degli impianti sportivi dello Stadio Calbi, con la realizzazione in particolare di campi da calcio in erba sintetica. Importo: 477mila euro.

– Nel Comune di Misano Adriatico vedrà la luce una nuova palestra polivalente presso il centro sportivo “Rossini”. Importo: 300mila euro.

Investire sullo sport significa investire sui nostri giovani e il loro futuro, nonché sulla salute e il tempo libero dei nostri figli: milioni di euro che gioveranno a tutta la società e che permetteranno di avere strutture più funzionali, più belle e a servizio di tutti i cittadini. La forza dei fatti supera quella delle polemiche!

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Politica PrimoPiano Romagna

Forlì e il mio futuro: gli impegni presi valgono più delle ambizioni personali

Nei giorni scorsi ha destato un po’ di clamore la mia scelta di non prendere in considerazione l’ipotesi di una candidatura a sindaco di Forlì. Voglio qui raccogliere e ribadire le ragioni di questa scelta che ho voluto assumere subito con la massima libertà e la piena chiarezza che hanno caratterizzato tutte le decisioni che ho preso da quando ho assunto ruoli di rilevanza pubblica.

Sarei ipocrita se dicessi che è una sfida in cui mi piacerebbe buttarmi; penso che fare il sindaco della propria città sia il massimo onore che può essere conferito ad un cittadino. Dunque direi il falso se negassi di averci pensato e che non mi piacerebbe provarci. E’ un’ambizione che non posso negare, prima di tutto a me stesso.

Voglio ringraziare le tante persone che negli ultimi giorni mi hanno fatto conoscere la propria opinione, si sono interessate, mi hanno sollecitato in un senso e nell’altro. Devo ricordare a tutti che ho un impegno sottoscritto con ciò che di più importante c’è nelle relazioni tra le persone: la loro fiducia. Oltre 48mila persone con il proprio voto il 4 marzo mi hanno dato un mandato preciso: rappresentare Forlì e altri 13 comuni in parlamento.

Non ero candidato in una lista bloccata; ero candidato senza rete di protezione nel collegio uninominale maggioritario che comprende oltre a Forlì anche altri 13 Comuni, di cui 8 nell’area Faentina (Forlimpopoli, Bertinoro, Meldola, Forlì, Tredozio, Modigliana, Faenza, Brisighella, Casola Valsenio, Riolo Terme, Solarolo, Castel Bolognese, Cotignola e Bagnara). Era una partitaa secca, senza ripescaggi, come un quarto di finale a Wimbledon: o vinci o sei fuori.

Io, noi abbiamo vinto, andando controtendenza rispetto a tutto il resto che è avvenuto nel Paese, visto che il centrosinistra ha perso nel 90% dei collegi uninominali. Abbiamo compiuto un’impresa titanica, di cui devo ringraziare tutti quelli che l’hanno resa possibile: gli elettori, chi ha lavorato alla campagna, i partiti della coalizione che mi hanno candidato, chi mi ha dato fiducia.

Oggi, dopo nemmeno 5 mesi, non sarebbe serio, corretto e giusto dire: “abbiamo scherzato. Ora mi candido a fare qualcos’altro”. Peraltro se mi candidassi a sindaco e vincessi, ci sarebbero 14 comuni (circa 250mila abitanti in totale) che dovrebbero votare di nuovo dopo le comunali per eleggere il mio sostituto. Perchè essendo candidato senza rete, il mio sostituto non viene scelto da una lista bloccata ma deve essere di nuovo votato direttamente dai cittadini.

Non è serio, non è eticamente corretto ed è politicamente sbagliato. Dunque rispetterò il mandato che mi è stato conferito e che mi ero candidato a svolgere, rimarrò in parlamento. Dove mi trovo perchè lo hanno deciso direttamente le persone, con il loro voto. Credo sia una questione di serietà anteporre il rispetto dei ruoli e delle istituzioni alle proprio, legittime ambizioni personali.

Non sopporto quelli che saltano da una poltrona all’altra ignorando il mandato ricevuto dagli elettori; sono grato alle molte persone che in questi giorni mi stanno sollecitando (chi a candidarmi, chi a non farlo); ma non posso candidarmi a sindaco di Forlì. Continuerò a lavorare per le città e tutto il territorio come ho fatto fino ad oggi dimostrando che si possono produrre risultati anche senza fare il sindaco. Ora si apre un percorso di costruzione che avrà possibilità di essere vincente quanto saprà aprirsi al coinvolgimento diretto di energie, idee e persone dell’associazionismo, del mondo delle imprese, delle professioni, del volontariato.

Spero che questa decisione aiuti a sgombrare il campo da inutili polemiche: sia quelle di chi sosteneva che io stessi “tramando” per la non ricandidatura di Drei perchè volevo prendere il suo posto; sia quelli che pensavano che candidandomi a sindaco avrei liberato un posto appetibile per qualcun altro; sia quelli che sostengono che non mi sia candidato per paura di perdere (se fosse questa la paura, non mi sarei candidato in un collegio uninominale maggioritario ma avrei chiesto di andare nel listino bloccato).

Insomma, la mia è una scelta libera, molto consapevole, rispettosa della volontà degli elettori, delle persone coinvolte e della mia città a cui mi sento profondamente legato. Ed è anche una scelta fatta nella massima limpidezza, come tutti i comportamenti che ho tenuto fin qui da quando ho assunto cariche pubbliche. Guardiamo avanti e lavoriamo per costruire, sempre.

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Politica PrimoPiano

Le ragioni del crollo, i pilastri della ricostruzione

Il titolo che Libertà Eguale ha scelto per la sua assemblea annuale (“Le ragioni del crollo, i pilastri della ricostruzione”) è quanto mai suggestivo e ci offre uno dei pochi luoghi di confronto in cui è possibile far elaborazione politica senza schiacciarsi unicamente sul presente. E nel pensare alle “ragioni del crollo”, credo che uno dei motivi per i quali le elezioni hanno dato il risultato infausto che abbiamo visto sia stato proprio l’assenza, l’incapacità che forse abbiamo avuto di accompagnare a una grande spinta riformatrice del Paese la forza di sedimentare un pensiero che in qualche modo creasse anche un radicato consenso sociale attorno alle riforme che abbiamo portato avanti. Riforme delle quali rivendico tutti i risultati e tutta la bontà, consapevole che nel fare molto si può anche sbagliare; però è fuori discussione che rispetto ai risultati conseguiti, nell’opinione pubblica e nelle persone non si è sedimentata una “narrazione” positiva di quanto si è realizzato attraverso delle scelte politiche ben precise.

Questa è stata una delle ragioni del crollo, unitamente – per citarne un’altra – alla disomogeneità del messaggio con cui il Partito Democratico si è presentato agli elettori; disomogeneità non solo e non tanto in campagna elettorale, quanto soprattutto nei mesi che ci hanno avvicinato alla campagna elettorale. Una asimmetria devastante sotto il profilo della credibilità della nostra proposta. Per risolvere questo problema non ci sono e non servono grandi ricette politiche, ma si deve partire dalla volontà dei singoli e di chi ha ruoli di responsabilità: se si decide di appartenere ad un’organizzazione si discute quanto si vuole all’interno, ma poi si deve difendere l’organizzazione stessa, altrimenti se siamo noi i primi a rappresentarla in maniera negativa è difficile che le persone possano accordarci la loro fiducia.

Nessuno può negare, poi, che essere per molti anni forza di governo come lo siamo stati indirettamente dalla fine del 2011 con il governo Monti e successivamente in modo diretto con i governi guidati da Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, sia stato un fattore negativo in termini di consenso. Tanto più se si aggiunge che siamo stati forza di governo di molte regioni e di moltissimi comuni (in alcuni casi da decenni). Il tutto in una fase di profonda crisi economica come quella che abbiamo vissuto e le cui ferite ancora oggi sanguinano in alcuni settori della società, che ci ha visti inevitabilmente diventare coloro contro i quali (rappresentando “il potere”) andava scaricata la rabbia, la negatività, la disperazione delle persone che hanno visto erodere la qualità di vita per effetto della crisi.

Un elemento, tra le molteplici ragioni del crollo, che non è certo solamente nazionale, come si è visto in molte elezioni di stati europei ed occidentali. Un sommovimento sociale, prima ancora che politico, che ha aperto una faglia su cui si innesterà la sfida delle prossime elezioni europee di primavera.

Di fronte ad un crollo, però, è necessario ricostruire. Vediamo, allora, quali possono essere alcuni pilastri su cui edificare un nuovo progetto politico. Bisogna partire dalle risposte ai bisogni quotidiani delle persone, facendolo con un linguaggio nuovo. Non credo che siano scomparse le differenze tra destra e sinistra, ma semplicemente che nella società non siano più queste le categorie con le quali gli elettori, i cittadini, le persone individuano le scelte da compiere. Sta a noi, al centrosinistra, riuscire a interpretare i valori che ci stanno a cuore con un linguaggio e una forma nuova, abbandonando le etichette del Novecento e pensando, invece, ad una nuova distinzione lessicale che ci differenzi dagli altri in maniera chiara, riconoscibile e credibile. Ciò ha a che fare, ovviamente, anche con la comunicazione, capitolo enorme che non c’è il tempo qui di aprire e sviluppare.

Penso ci sia bisogno di lavorare su un pilastro fondamentale che è il diffuso bisogno di protezione che alberga nella nostra società. Protezione dall’insicurezza intesa come insicurezza legata all’ordine pubblico; perché se noi neghiamo questo aspetto e continuiamo derubricarlo semplicemente come una percezione sbagliata da parte dei cittadini, manchiamo l’obiettivo. C’è un problema reale, fortissimo nelle periferie delle città e nelle aree più lontane dai centri urbani. Una questione che ha gonfiato i consensi per la Lega soprattutto in alcune terre, come la Romagna dove vivo e lavoro da sempre e dove sono stato candidato al collegio uninominale di Forlì, vincendolo. Qui il centrosinistra non ha perso molti voti a favore del Movimento cinque stelle; qui a drenare consensi è stata la Lega che ha fatto il pieno nei comuni delle nostre vallate, nelle campagne, nelle zone dove storicamente era più forte la nostra presenza e più forte è il senso di insicurezza (intesa come ordine pubblico) delle persone.

Protezione significa anche dare risposte alle incertezze ‘reddituali’. La proposta del reddito di cittadinanza è un’illusione, che ha fornito una risposta sbagliata (ma efficace) ad un problema molto sentito nella quotidianità delle persone. Sul lavoro, dunque, si deve basare un altro pilastro della ricostruzione, insistendo su proposte come quella del salario minimo legale per le quali forse avremmo dovuto batterci di più anche in campagna elettorale.
Dunque dobbiamo occuparci non solo di chi non ha un lavoro (cosa fondamentale), ma anche di chi ha un lavoro scarsamente retribuito, senza regole, mi verrebbe da dire senza dignità.

Dobbiamo dare una risposta al bisogno di protezione dall’emergenza demografica. Una questione che ancora non è esplosa in tutta la sua potenza, ma che sta crescendo sempre più. L’invecchiamento della popolazione, il progressivo aumento della prospettiva di vita (per fortuna) rischiano di mettere sulle spalle delle famiglie un peso insostenibile per come sono composti oggi i nuclei familiari. Famiglie con figli unici, genitori a carico e un patrimonio immobiliare di proprietà ereditato e fortemente tassato che metterà a dura prova la loro tenuta.

Mi rendo conto di fare un ragionamento lontano dai grandi pensieri, ma si tratta di problemi con cui tutte le nostre famiglie si sono misurate, si stanno misurando o si misureranno. Ansie alle quali o si riesce a dare una risposta oppure si andrà incontro ad ulteriori sconfitte senza renderci conto delle ragioni per cui sono accadute. Questo è un argomento su cui una proposta concreta, facilmente interpretabile e realizzabile, può incontrare l’interesse e il favore di molti.

Dobbiamo dare una risposta al bisogno di protezione anche dai cambiamenti e dalle emergenze di tipo ambientale; questo un altro tema che il centrosinistra ha abbandonato e che invece il M5S ha totalmente fatto proprio, pur senza realizzare nulla di concreto, come si è visto nell’esperienza fallimentare di Roma. Argomenti su cui c’è una forte sensibilità dell’opinione pubblica, sia sotto il profilo della gestione che dal punto di vista degli impatti sulla salute; farsi carico di queste preoccupazioni, dare loro una risposta, significa fare qualcosa di buono per il Paese e di utile per il centrosinistra.

Molte altre sarebbero le aree su cui lavorare per erigere i pilastri della ricostruzione del nostro progetto politico (ad esempio su una nuova politica di gestione dei flussi migratori e delle politiche pubbliche basata sui doveri oltre che sui diritti; oppure su una proposta di revisione dei nostri assetti istituzionali che sia al passo con la modernità e la domanda di maggior partecipazione che si vive nella società; e ancora su un’idea di Europa più vicina, a partire da una legittimazione democratica diretta del governo europeo; infine sulle questioni legate alla parità di opportunità tra uomini e donne, ad esempio sul fronte salariale oltre che su quello, sacrosanto, dei diritti). Per brevità mi limito ad un ultimo riferimento al Partito Democratico.

Il Pd può e deve essere il pilastro della ricostruzione di un’alternativa alla coalizione Lega-M5S; per farlo ha bisogno di esercitarsi sui temi che ho citato (e su altri evidentemente) formulando proposte efficaci e comprensibili. Ha bisogno, però, anche di organizzazione, comunicazione e leadership. Mentre le prime due si possono costruire, con buona volontà, umiltà, formazione e voglia di imparare anche dagli errori, la leadership non si prepara in laboratorio. Affinché ne emerga una, serve il coraggio di aprirsi davvero e non di chiudersi. Non sarebbe mai esistita la leadership di Matteo Renzi senza le primarie e senza l’apertura al contributo di tutti gli elettori alla vita del Partito Democratico. L’errore che non si deve commettere in questa fase è chiudersi per paura del confronto, per il timore di perdere qualche posizione, per il rischio di veder minacciato il proprio ruolo. Anche per questo motivo ritengo un errore rimandare a data da destinarsi un confronto interno su tesi politiche anche diverse tra loro; dal confronto di idee e dall’apertura del contributo di tutti, anche di associazioni come questa, possono fiorire nuove proposte e, perché no, anche nuovi leader.

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Lavoro PrimoPiano

Dignità per tutti i lavori: la proposta del salario minimo legale

Abbiamo presentato una proposta di legge che cerca di dare risposta a oltre due milioni e mezzo di lavoratori italiani che non hanno un contratto collettivo di riferimento, soggetti meno tutelati e meno pagati di altri, che persino il reddito di cittadinanza escluderebbe da qualsiasi tipo di aiuto pubblico. Spesso ricevono salari al di sotto dei minimi stabiliti dalla contrattazione. A questi si rivolge la nostra proposta di legge che ha lo scopo di fissare un livello minimo di retribuzione al di sotto della quale nessun lavoro può essere retribuito.

E’ una proposta di buon senso, che va incontro ad una vasta platea di persone che rischiano di finire ai margini della società e che, peraltro, si inserisce nel solco di quanto sta già avvenendo in molti stati dell’Unione europea a partire da Francia e Germania. Tra i 28, sono solo 5 gli Stati, oltre all’Italia, dove non è presente alcuna forma di salario minimo legale.

Con questa proposta di legge ci proponiamo di istituire il salario minimo orario per garantire ad ogni lavoratore un trattamento economico equo e, come sancisce l’articolo 36 della Costituzione, “una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
La proposta di legge prevede quindi l’istituzione del salario minimo orario e lo definisce come la retribuzione oraria minima che il datore di lavoro privato è tenuto a corrispondere al lavoratore, pari a nove euro all’ora al netto dei contributi previdenziali e assistenziali, nei settori non regolati da contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale .

La proposta di legge prevede anche l’istituzione di un’apposita Commissione, formata da esperti e da rappresentanti delle parti sociali, che dovrà dare indicazioni al ministro del Lavoro e delle politiche sociali per l’aggiornamento periodico del salario minimo orario.
Per il datore di lavoro che corrisponda ai lavoratori una retribuzione inferiore a quella stabilita dalla legge è prevista una sanzione fino a 20 mila euro e il pagamento della mancata retribuzione al lavoratore.
Le disposizioni della legge si applicherebbero ai contratti di lavoro stipulati o rinnovati successivamente alla data della sua entrata in vigore.

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Cultura dichiarazioni Europa PrimoPiano

Cultura, rendere i cittadini protagonisti con la ratifica della “Convenzione di Faro”

Il 27 febbraio del 2013 l’Italia firmava in sede di Consiglio europeo la “Convenzione di Faro” sul valore del patrimonio culturale per le nostre società (STCE n. 199). Il nostro Paese è stato il 21esimo fra i 47 membri del Consiglio d’Europa a sottoscriverla; di questi, 14 hanno anche superato l’ultimo step, ossia quello della sottoscrizione definitiva da parte delle aule parlamentari.

Questa convenzione, che porta il nome della città portoghese dove si tennero i lavori per la sua stesura nel 2005, oltre a riconoscere il diritto al patrimonio culturale come facoltà di partecipare alla vita culturale di una comunità (così come riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo), pone l’accento anche su ulteriori elementi centrali per il nostro sistema culturale. Dalla necessità di favorire l’incontro tra culture diverse, nella logica di una cultura sempre più inclusiva ma che mantenga al contempo un legame con il territorio di appartenenza; fino alla necessità di favorire la sinergia tra i diversi attori del settore (le pubbliche istituzioni, le associazioni e i cittadini privati).
Un approccio che rende protagonisti per primi i cittadini, incentivando la partecipazione ‘al processo di identificazione, studio, interpretazione, protezione, conservazione e presentazione del patrimonio culturale’ nonché ‘alla riflessione e al dibattito pubblico sulle opportunità e sulle sfide che il patrimonio culturale rappresenta’.

Adesso che il Parlamento si è insediato definitivamente, ho chiesto assieme ad altri colleghi di impegnarsi affinché la ratifica della Convenzione di Faro possa avvenire nel più breve tempo possibile, presentando anche un apposito disegno di legge di ratifica. Nella passata legislatura, nell’infinito ping-pong tra Camera e Senato, la legge di ratifica ed esecuzione della convenzione si è arenato a Palazzo Madama.
Sarebbe un buon segnale se l’attuale ministro e il Parlamento decidessero di calendarizzare il provvedimento permettendo all’Italia di ratificare una Convenzione che non potrà che portare benefici alla valorizzazione dello sconfinato patrimonio culturale dell’Italia e in particolare qui, in Romagna, dove il protagonismo dei cittadini in ambito culturale è più vivo che altrove.

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PrimoPiano Welfare

Sostegno alla natalità e alle famiglie: due proposte concrete

Fare opposizione è un compito non facile. Siamo stati abituati a opposizioni che si limitavano a “dar contro”, mentre credo sia doveroso fare lo sforzo di offrire anche delle proposte, sostenerle in parlamento e tra la società. Due molto importanti le abbiamo presentate in questi giorni e vanno incontro a un’emergenze: sostenere la ripersa della natalità nel nostro Paese. Si tratta dell’assegno unico per i figli a carico e della dote unica per l’acquisto di servizi per l’infanzia. Due misure semplici, eque e continuative che accompagneranno le famiglie nella crescita dei figli, dal settimo mese di gravidanza fino ai 26 anni. Non miraggi, non cose irrealizzabili, ma strumenti concreti che riorganizzano e potenziano quelli esistenti. Le persone e le famiglie al centro.

Nel 2017 ancora un calo record delle nascite: l’ultimo Bilancio demografico nazionale dell’Istat ci dice che per il terzo anno consecutivo i nati in Italia sono meno di mezzo milione. 458.151, mai così pochi dall’Unità d’Italia. Una tendenza che va contrastata con misure concrete.

Oggi ci sono in Italia ben 12 misure diverse a sostegno dei figli. La nostra proposta riordina e potenzia il sostegno alle famiglie attraverso la creazione dell’assegno unico per i figli a carico e della dote unica per l’acquisto di servizi per l’infanzia.

L’assegno unico universale: fino a 240€ al mese per ogni figlio a carico dal settimo mese di gravidanza fino ai 18 anni; fino a 80€ al mese dai 18 ai 26 anni. L’assegno viene maggiorato per figli con disabilità.

La dote unica per l’acquisto dei servizi per l’infanzia: fino a 400€ al mese per ogni figlio a carico da zero a 3 anni per spese di asilo nido, babysitter e altri servizi per l’infanzia. Importo ridotto dai 3 a 14 anni. La dote viene maggiorata per ogni figlio con disabilità.

Un intervento concreto che aumenta di circa 10 miliardi la spesa dello Stato per favorire la natalità e la genitorialità.

Il costo complessivo della proposta è pari a 29,6 miliardi di euro. L’attuale spesa, assorbita dalle nuove misure, vale circa 20 miliardi di euro. L’incremento, pari a 9,6 miliardi di euro, viene finanziato attraverso risparmi sulla spesa pubblica.

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Infrastrutture PrimoPiano Sanità

Mobilità sostenibile e sanità pubblica accessibile a tutti: la nostra Regione sempre un passo avanti.

Negli ultimi giorni la Regione Emilia-Romagna ha approvato due ottimi provvedimenti che avranno ricadute immediate e concrete sulle vite e sulle tasche dei cittadini emiliano-romagnoli: l’abolizione del superticket per tutti i redditi inferiori ai 100.000 euro e la possibilità di utilizzare gli autobus gratis se si acquista un abbonamento del treno.

 

La prima misura è stata decisa dalla giunta guidata da Stefano Bonaccini per garantire l’universalità e il carattere pubblico della sanità regionale ed entrerà in vigore il primo gennaio 2019: in pratica il superticket, ovvero quella tassa introdotta dal governo nazionale nel 2011 che viene applicata sulla vendita dei farmaci e sulle visite specialistiche, sarà del tutto abolito per chiunque abbia un reddito inferiore ai centomila euro annui. Resteranno esenti, come già accade tutt’oggi, coloro che invece non superano la soglia dei 36.000 euro annui. In più, con le entrate derivanti dal superticket dei redditi alti, si finanzierà un’ulteriore misura ideata per supportare le famiglie con più di due figli: verranno esentate anche dal pagamento del ticket base di 23 euro sulle visite specialistiche. Insomma, una sanità sempre più accessibile a tutti, pubblica e di qualità.

 

Per quanto riguarda i trasporti pubblici invece, coloro che acquisteranno un abbonamento del treno mensile o annuale, a partire dal primo settembre 2018 potranno usufruire gratuitamente anche del servizio autobus della città di partenza o destinazione. Questo porterà ad un risparmio medio di circa 150 euro annui per tutti quei lavoratori o studenti pendolari che ogni giorno usufruiscono dei nostri trasporti pubblici. Non dimentichiamo inoltre che in questo modo viene incentivato l’utilizzo di treni e autobus a discapito dell’automobile, migliorando la qualità dell’aria e il problema del traffico. Questo servizio, chiamato “Mi muovo anche in città” sarà disponibile in 13 centri della nostra Regione: Bologna, Modena, Reggio Emilia, Parma, Piacenza, Ferrara, Ravenna, Cesena, Forlì, Rimini, Carpi, Faenza e Imola.

 

Queste misure prevedono un investimento regionale complessivo di circa 39 milioni di euro, a dimostrazione che, al di là degli slogan e delle proposte spesso buone solo per conquistare un titolo di giornale, si può fare politica seriamente e soprattutto a favore della propria comunità.