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Violenza sulle donne, fatti oltre alle parole: finanziati centri anti-violenza e legge orfani femminicidio

La violenza contro le donne è un problema che riguarda prima di tutto gli uomini e l’intera società. È una questione culturale, perché ancora molto manca per giungere ad una piena affermazione del ruolo della donna. Ed è anche una questione economica, perché la mancata autonomia della vittima è spesso una delle cause delle non denunce.

Oltre alle parole servono i fatti: sono appena stati sbloccati i 12 milioni destinati agli orfani di femminicidio (legge della precedente legislatura, in vigore dal febbraio 2018 e mai finanziata) e si investono 30 milioni sui centri anti-violenza radicati sul territorio. L’impegno che va ribadito oggi e che deve valore ogni giorno, però, è quello di non fermarsi qui e combattere ogni forma di discriminazione.

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Tutte le bufale sul Fondo Salva Stati

Apro questa nuova newsletter settimanale con un argomento tutt’altro che semplice: il Fondo salva stati, ovvero il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) di cui molto sentiamo parlare sui mezzi di informazione e che altro non è che il fondo europeo per aiutare gli Stati in difficoltà. Il leader della Lega, Matteo Salvini, nelle ultime ore va dicendo cose gravi ed inesatte su questo fondo, lanciando accuse di vario tipo sul suo impatto sul nostro Paese e inondando come sempre la rete con molteplici bufale. Proviamo a fare chiarezza.

Secondo il leader della Lega, è stata già approvata una riforma del MES senza che ci fosse il voto favorevole dei parlamenti nazionali, con conseguente perdita di sovranità ai danni del nostro Paese. Falso: ad oggi non c’è stata alcuna riforma del fondo in questione, semplicemente nel dicembre 2018 e lo scorso giugno (mentre Salvini era occupato a ballare al Papeete), è stato sottoscritto un accordo di massima tra i Paesi membri della UE per riformare l’intera architettura dell’Unione. Tra queste riforme, sono stati inseriti anche dei principi di riforma del fondo ma, trattandosi della riforma di un Trattato, se e quando sarà firmata (forse il prossimo dicembre) dovrà essere poi votata dai parlamenti nazionali.

Seconda bufala: se in futuro l’Italia dovesse chiedere aiuto al Fondo Salva Stati, come hanno fatto ad esempio Spagna, Portogallo e Grecia, il nostro Paese dovrà far fronte obbligatoriamente ad una ristrutturazione del proprio debito pubblico. Falso, perché non esiste alcun automatismo tra accesso al Fondo e la ristrutturazione del proprio debito.

Quello che il leader leghista non dice – o meglio che non vuole dire – è che se la riforma del Fondo Salva Stati dovesse effettivamente vedere la luce senza stravolgimenti, si tratterebbe di un ulteriore passo in avanti verso il processo d’integrazione economica europea, contribuendo a far avanzare l’unione bancaria e creando finalmente un prima politica fiscale unica dell’Unione. Capisco che nella sua retorica populista e sovranista a Salvini convenga dipingere l’Europa come la causa di tutti i mali; capisco anche che sia facile creare panico e cattiva informazione attorno ad un tema così tecnico e complicato come il Fondo Salva Stati.
E’ per questo che insisto sempre in ogni mia newsletter con la volontà di fornire occasioni e spunti per approfondire ciascun tema: se non altro per distinguere chi effettivamente ha a cuore le proprie idee e chi, invece, pensa solo ad ottenere visibilità facendo leva sulle paure. Una battaglia che tutti dobbiamo combattere.

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“Non liberateci”: il grido della piazza contro la politica dell’odio

E’ successo qualcosa di importante giovedì scorso a Bologna. Almeno 10mila persone si sono presentate in piazza Maggiore, unite dalla volontà di riaffermare un principio molto sempre: la nostra terra, l’Emilia-Romagna, non ha bisogno di essere “liberata” da nulla e da nessuno. Negli stessi minuti, al PalaDozza, riempito con decine di pullman organizzati da mezza Italia, la Lega di Salvini lanciava slogan distruttivi, dipingendo una realtà allo sfascio che non esiste nei fatti. 
Segno evidente che c’è un’Italia che non si piega a una politica basata sulla cattiveria, sull’odio e sulla denigrazione dell’avversario; che c’è un’Italia che vuole una politica che sappia giocare la partita in positivo, all’attacco e non sulla difensiva, con l’orgoglio della propria appartenenza e delle proprie radici, ma anche con la voglia di costruire futuro, generare idee, opportunità, abbracciare il cambiamento e l’innovazione. E’ una fetta di popolazione a cui vogliamo e dobbiamo dare rappresentanza, non solo nei momenti elettorali, ma anche dopo. 
Così come non possiamo limitarci a pensare che tutti coloro che oggi trovano una risposta alle proprie aspettative nelle sparate di Salvini e della Meloni, siano dei pericolosi estremisti; no, c’è un disagio, una delusione, un bisogno di protezione a cui va data una risposta convincente. La politica deve trovare la capacità di declinare risposte che viaggino sul doppio binario dei diritti e dei doveri, di cui troppo poco si è parlato negli ultimi anni. Da questo binomio, che vale per tutti gli ambiti della politica (inclusa quella fiscale, dove non ha senso perseverare con una strategia basata su nuove tasse, piccole e grandi) passa l’efficacia delle risposte e la possibilità di sgonfiare le teorie sovraniste che in questo momento sembrano andare per la maggiore. 
La “bestia” può essere domata; ma per farlo servono visione, strategia, concretezza e determinazione. Noi ci siamo.  

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Il caso Ilva e la tutela dei lavoratori e dell’ambiente

Tiene banco in questi giorni, giustamente, la vicenda Ilva. Partiamo subito da quello che da parlamentare della Repubblica ho fatto. Ho immediatamente sottoscritto un emendamento al decreto fiscale che su iniziativa della collega Raffaella Paita, abbiamo presentato come gruppo parlamentare di Italia Viva. Il testo, se approvato, consentirà di introdurre lo scudo penale per chi deciderà di investire su Ilva. Un’azione concreta per togliere ogni alibi ad Arcelor Mittal e mettere al riparo da rischi connessi alla precedente gestione chiunque (compreso Mittal) deciderà di investire su Taranto. Il destino di Ilva è un tema troppo importante per l’Italia per non tentare ogni strada che eviti di bloccare l’industria italiana dell’acciaio. Lasciando da parte polemiche di ogni genere. 

A rischio ci sono, oltre agli 8.200 lavoratori di Taranto, anche i circa 3.500 impiegati nelle aziende dell’indotto, alle quali l’azienda ha già ridotto i contratti di fornitura e servizi. Secondo l’istituto di ricerca Svimez, chiudere l’Ilva provocherebbe una perdita pari all’1,4 per cento del prodotto interno lordo in Italia.Ci si può anche soffermare sul voto in commissione Industria al Senato per fare una strumentale polemica politica che non serve assolutamente a nulla. Tuttavia, la verità è una sola: con il primo decreto del 2015, all’articolo 2, l’allora governo Renzi introdusse l’immunità penale per i fatti pregressi. Con il “decreto crescita” varato dal Governo Lega-M5S e approvato definitivamente a giugno 2019 (articolo 46), quella immunità è stata tolta. Il tentativo di reinserirla c’è stato e non è andato in porto, ma nel frattempo l’azienda aveva già preso le sue decisioni. Come dimostrano le dichiarazioni della multinazionale e come dimostrano documenti precedenti.
Il problema ora è evitare il tracollo dell’azienda che trascinerebbe con sé anche il blocco del piano di risanamento ambientale connesso al rilancio del sito produttivo: un piano necessario per affrontare gli enormi problemi con cui la città di Taranto deve fare i conti.
Il futuro industriale dell’Italia dipende anche da questo polo produttivo, oltre che dalla necessità di mettere in campo un piano di interventi che rilancino il nostro sistema produttivo anche accompagnandolo verso una riconversione energetica. Lo sviluppo e la crescita non possono in alcun modo prescindere dalla sostenibilità ambientale.