Scioperare, riunirsi in assemblea, discutere della propria condizione lavorativa sono tutte azioni che fanno parte dei diritti sacrosanti che devono essere riconosciuti ai lavoratori di qualsiasi categoria. Ci sono però delle situazioni in cui, a mio modestissimo parere, andrebbero valutate le circostanze più opportune in cui svolgere azioni di protesta contro il proprio datore di lavoro (in questo caso lo Stato). Per questo ho trovato inopportuna la scelta dei lavoratori del Colosseo di non consentire l’accesso ad uno dei monumenti simbolo dell’Italia del mondo, proprio in un venerdì di altissima stagione (Roma in settembre è invasa di turisti di ogni nazionalità) lasciando in fila per ore migliaia di persone che hanno attraversato il pianeta per ammirare il nostro patrimonio. Ha fatto bene il Governo ad emanare un decreto di un unico articolo che chiarisce come l’apertura al pubblico di musei e luoghi della cultura rientra tra i servizi pubblici essenziali.
Stabilire questo principio e dare ai beni culturali il valore di servizio pubblico essenziale e una scelta positiva, anche se tardiva. Andava stabilito molti anni prima e forse, assieme ad altre azioni che ancora mancano, avremmo potuto contare su una maggiore valorizzazione del nostro patrimonio rispetto alla coondizioni attuale.
Del resto dare ai beni culturali lo stato di servizi pubblici essenziali non può definirsi (come ho letto e sentito da parte di alcune sigle sindacali) una repressione dei diritti dei lavoratori; è semplicemente buon senso. Così come buon senso deve essere corrispondere i pagamenti dovuti a chi lavora, soprattutto se ad essere in debito è lo Stato. Se è vero che la cultura è il nostro petrolio (una definizione che non mi piace affatto, ma che rende l’idea del valore che essa rappresenta per il nostro Paese) dobbiamo fare di tutto per renderla fruibile sempre e comunque, attraverso servizi che funzionano e personale motivato. C’è ancora molta strada da fare, ma cominciamo a compierla.