Le associazioni hanno ragione: il decreto sicurezza non solo non risponde ai requisiti di costituzionalità in molti punti, ma neppure ad un principio basilare: quello che tiene insieme sicurezza e libertà, sicurezza e umanità.

Per questo ho deciso di sostenere l’appello delle associazioni forlivesi e romagnole intervenute pubblicamente per chiedere al Comune di Forlì la sospensione simbolica del decreto sicurezza.

Decreto che ha cominciato in questi giorni il suo iter alla Camera, nella Commissione Affari costituzionali di cui sono segretario.

Ci opporremo con tutte le forme possibili alla conversione in legge del decreto che tra le molte nefandezze, contiene due bombe ad orologeria nel testo: la cancellazione dei permessi umanitari e l’eliminazione dello Sprar, il sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati che aveva consentito, grazie all’impulso dato dal ministro Marco Minniti, di mettere in campo un sistema di accoglienza e integrazione diffuso sul territorio.

Con il decreto sicurezza, invece, tutto questo scompare: il provvedimento produrrà nuovi irregolari e farà arretrare da quella difficile politica di integrazione che è doverosa e andrebbe, invece, rafforzata con un maggior equilibrio tra diritti e doveri. Facendo pagare il conto ai comuni e ai sindaci. Come alternativa si vagheggiano centinaia di migliaia di rimpatri che nella realtà non saranno mai realizzati perché non ci sono le forze e mancano gli accordi diplomatici con i paesi di provenienza che, anzi, si stanno incrinando come nel caso della Tunisia.

Le istanze espresse dalle associazioni spero possano trovare nei Consigli comunali di tutto il territorio, a partire da Forlì, un adeguato riconoscimento; di certo lo avranno nel confronto parlamentare. Più che un decreto sicurezza questo è un decreto insicurezza contro il quale chi ha a cuore il futuro delle nostre comunità fa bene ad opporsi.

Nel decreto sicurezza si arretra anche nei confronti della lotta alle organizzazioni criminali: i beni confiscati alle mafie infatti potranno essere venduti ai privati tramite aste. Consentendo, così, a chi ha disponibilità ingenti come le organizzazioni criminali di poter tornare in possesso dei patrimoni sottratti. Si mortifica il lavoro di molti volontari e si consente ai boss di raggirare due volte lo Stato.