Quante cose ci può insegnare la vicenda che sta scuotendo in queste settimane la Gran Bretagna!

Nei giorni scorsi sono stati resi noti i dettagli dell’accordo di separazione tra Regno Unito ed Unione Europea, che dovrebbe diventare operativo dal 29 marzo 2019. Un accordo che non piace a nessuno, ma procediamo con ordine.

Si tratta di un’intesa che giunge dopo oltre 2 anni di trattative e una delicata fase di stallo vissuta sulla vicenda del confine tra la Repubblica irlandese (saldamente ancorata all’Unione Europea) e l’Irlanda britannica, l’Irlanda del Nord. Peraltro un confine che è una cicatrice della Storia, a monito perenne delle violenze vissute tra cattolici repubblicani e unionisti protestanti fino a non molti anni fa.

Dati i contenuti dell’accordo (per il quale rimando a questo interessante articolo realizzato dal mio collega Massimo Ungaro, eletto all’estero e per 13 anni residente a Londra), si sono dimessi cinque ministri del governo di Theresa May; la quale, anziché mollare, ha rilanciato nominando nuovi ministri più vicini al risultato raggiunto. Non solo, la premier ha intenzione anche di presentarsi in Parlamento per chiedere l’appoggio all’accordo che, se confermato, sarebbe un fallimento per tutti.

Lo sarebbe per chi ha votato a favore della Brexit, perché mitiga notevolmente l’uscita (il Regno Unito continuerebbe ad avere una serie di opportunità come l’accesso al mercato unico europeo, senza però avere vincoli giuridici a cui sottostare). Sarebbe un fallimento per chi, invece, credeva nell’adesione dell’UK al progetto europeo. E sarebbe un fallimento per l’Europa, che farebbe passare la malcelata convinzione che si possa uscire dal sistema di accordi e trattati europei senza, alla fine dei conti, avere notevoli ripercussioni di carattere politico.

Nel tentativo di accontentare tutti dando in pasto ai “brexiteers” la Brexit e ai “remainers” un accordo simile ad una adesione non formale alla UE, la May non sembra accontentare nessuno. C’è da aspettarsi, però, che anche le istituzioni europee ragionino sui termini di questa intesa, che indebolirebbe la credibilità del già fragile progetto europeo. In un momento, peraltro, in cui le pulsioni a destrutturarlo saranno fortissime data l’imminenza delle elezioni europee più importanti della storia (il 26 maggio prossimo).

Per l’Unione Europea come l’abbiamo conosciuta fin qui sta suonando la campanella dell’ultimo giro: o ci sarà la capacità di rimettere in discussione tutto a partire da politiche più vicine ai bisogni di persone e imprese, oppure quell’impalcatura che ci sta assicurando il più lungo periodo di pace della storia, rischierà di incrinarsi pericolosamente.