E’ scoppiata una guerra in Libia. Tra il governo “ufficiale” e riconosciuto dalla comunità internazionale, guidato dal primo ministro Fayez al Serraj; e Khalifa Haftar, principale avversario di Serraj e capo delle Forze armate libiche (LNA), cioè le forze che controllano buona parte della Libia orientale e meridionale e che puntano a conquistare Tripoli.
La questione riguarda da vicino l’Italia: non solo per gli storici legami tra il nostro Paese e quella parte del mondo, ma anche perchè secondo un rapporto dell’AISE (l’agenzia dei servizi segretari italiani che si occupano di questioni estere) nel caso in cui il conflitto si prolungasse le ondate di migrazione verso l’Italia sarebbe stimata nell’ordine delle 100mila persone. Mentre il conflitto degenera, il presidente del consiglio e il ministro dell’Interno, le due cariche che più di tutte le altre sono interessate all’argomento, hanno scelto di andare al Vinitaly a Verona per fare qualche brindisi. Auguri.
L’Italia ha tutto l’interesse ad entrare nella partita, non militarmente (ovviamente), ma giocando il proprio ruolo di potenza tra le più importanti, con la propria posizione baricentrica nel Mediterraneo. Una Libia instabile e ingovernabile avrebbe ricadute importanti per il nostro Paese, in particolare per l’andamento dei flussi migratori e la nostra dipendenza energetica.
Cosa occorre fare?
Bisogna costruire alleanze con chi ha interessi simili ai nostri. Ad esempio la Francia, con cui poche settimane il nostro Governo ha litigato al punto che Parigi ha richiamato il proprio ambasciatore come non avveniva dalla Seconda guerra mondiale. Si devono mettere da parte le polemiche, anche di politica interna (non aiuta la campagna elettorale, è vero) provare a stringere tutte le forze politiche attorno allo stesso obiettivo e dare forza alla linea di politica che l’Italia dovrà tenere sulla Libia. Se non sarà così, sarà più debole non il Governo, ma tutti noi come comunità internazionale.