Quella di Roberto Ruffilli è una storia che merita ancora oggi di essere studiata, esaminata, approfondita, capita. La visita del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del trentesimo anno dalla morte per mano delle brigate rosse, certifica lo spessore, l’importanza, la grandezza del senatore forlivese e del ruolo che ebbe, spesso in silenzio, nel quadro politico degli anni ’80. Per noi forlivesi è un onore immenso poter ricordare uno dei nostri cittadini più illustri alla presenza della massima autorità nazionale.

Deve anche diventare l’occasione per trasmettere ai nostri ragazzi l’importanza di quest’uomo, di questo forlivese “doc”, nato qui in Romagna, diplomatosi al liceo classico “Morgagni” di Forlì, cresciuto e formatosi anche frequentando l’opera salesiana di via Maroncelli, divenuto senatore (eletto nel 1983 e nell’88, anno della morte) dopo aver ottenuto la cattedra di Storia Contemporanea prima a Sassari e poi nella ‘sua’ Università di Bologna. Non è un caso se è a lui che è intitolata la Scuola di Scienze Politiche dall’Alma Mater che trova sede proprio presso il campus cittadino.

Ruffilli fu colui che dentro la DC e in parlamento, partecipando attivamente ai lavori della Commissione Bozzi istituita nel 1983 per disegnare un programma comune di revisione delle istituzioni e della Costituzione, ispirò, elaborò e scrisse per larga parte la proposta di riforma costituzionale che avrebbe cambiato le sorti del nostro Paese. Purtroppo il lavoro di quella commissione saltò per i dissidi politici tra i partiti dell’epoca, ma i nodi di allora sono rimasti tutti fino ad oggi. Anzi, direi che oggi sono venuti al pettine e mostrano tutti i limiti di un assetto che fin dal suo concepimento sul finire del 1947 apparve e venne definito incompiuto.

Il suo pensiero, la sua capacità di interpretare l’epoca post sessantottina e i cambiamenti che erano in atto nella società dalla metà degli anni ’70, divenuti urgenti dopo l’uccisione di Aldo Moro nel 1978, fecero di Ruffilli un punto di riferimento per la Dc e per molti politici anche di altri schieramenti. Ciò grazie anche alla sua intensa attività accademica, come professore di Storia contemporanea all’Università di Sassari prima e di Bologna poi, che gli permisero di ottenere una credibilità che andava oltre i confini e gli steccati dei partiti tradizionali.

Forlì e la Romagna sono profondamente legate alla figura di Ruffilli. Personalmente non rientro tra coloro che lo hanno conosciuto – nell’aprile del 1988 avevo appena 4 anni e mezzo -; tuttavia sono tantissime le occasioni in cui testimonianze familiari, incontri casuali, momenti pubblici e occasioni informali, mi hanno consentito di ascoltarne il ricordo, le testimonianze dirette, aneddoti personali di quel terribile 16 aprile 1988. Una data che ha lasciato un marchio indelebile nella città.

Ruffilli fu freddato con tre colpi di pistola sparati da due falsi postini che, saliti nella sua abitazione di corso Diaz a Forlì con la scusa di dovergli consegnare un pacco, lo fecero inginocchiare in salotto e gli tolsero la vita. Quegli uomini, se così si possono definire, erano Franco Grilli e Stefano Minguzzi condannati all’ergastolo assieme ad altri 7 brigatisti ritenuti responsabili della morte del senatore forlivese si tratta di: Antonio De Luca e Fabio Ravalli, ritenuti i ‘capi’ della cellula; Maria Cappello (moglie di Ravalli); i brigatisti responsabili del supporto logistico e organizzativo che ha sostenuto il commando che da Roma si è recato a Forlì, ovvero Tiziana Cherubini, Franco Galloni, Rossella Lupo e Vincenza Vaccaro.

La storia del senatore forlivese e le sue opere sono un patrimonio per la città di Forlì, in parte valorizzato attraverso il lavoro della Fondazione a lui dedicata, di diverse istituzioni che portano il suo nome e di varie personalità. Più passano gli anni e più aumenta, però, il rischio che la memoria sfumi, si ingiallisca, perda la ‘presa’ nella società: e allora vale la pena interrogarsi su come il suo pensiero e le sue idee di riforma della democrazia possono diventare strumento di apprendimento e di maggior consapevolezza soprattutto per le giovani generazioni. La democrazia non è una conquista perenne: ha bisogno di essere curata, rinvigorita. Ruffilli lo aveva capito prima di tutti gli altri; che il suo anniversario sia l’occasione per rilanciare quell’impegno.