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Comincia il lavoro nelle Commissioni: il mio impegno in “Affari costituzionali”

Si sono finalmente insediate, dopo quasi 4 mesi, le commissioni parlamentari. Sono stato confermato in Commissione Affari costituzionali, presidenza del consiglio e interni, una delle due commissioni in cui ho lavorato anche nella precedente legislatura. Considero un ‘onore nell’onore’ essere un membro del parlamento e componente di questa commissione. La prima commissione è la più prestigiosa e importante del parlamento, assieme alla Bilancio, ed è strategica per molti temi di grande rilevanza per il Paese.

Mi è stato proposto a poche ore dall’insediamento di spostarmi alla commissione Difesa, dove avrei potuto svolgere il ruolo di vice presidente. Ho rifiutato, perché non mi sono mai occupato di quegli argomenti (salvo quando riguardavano il mio territorio); e perché sono convinto che non si faccia politica per acquisire cariche fini a se stesse, ma per dare una mano dove si è utili. Se potrò essere utile, lo sarò di più qui dove ho lavorato negli ultimi 4 anni seguendo tantissimi argomenti.

Di cosa si occupa la commissione? Ecco un elenco abbastanza ampio, ma non completo di tutte le tematiche: affari costituzionali; disciplina delle fonti del diritto e problemi della legislazione; affari della Presidenza del Consiglio, esclusa l’editoria; disciplina generale del procedimento amministrativo; organizzazione generale dello Stato, comprese l’istituzione, la riforma e la soppressione di Ministeri e di autorità amministrative indipendenti; disciplina delle funzioni della Corte dei conti; ordinamento, stato giuridico ed economico dei dirigenti pubblici e delle categorie equiparate; ordinamento regionale; ordinamento degli enti locali; disciplina generale degli enti pubblici; questioni relative alla cittadinanza; immigrazione; disciplina dei servizi di informazione e sicurezza; ordine pubblico e polizia di sicurezza; ordinamento, stato giuridico ed economico delle forze di polizia; affari del culto.

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dichiarazioni Riforme costituzionali

Riforma costituzionale, via libera definitivo del parlamento: ora la parola a chi vuole cambiare davvero

L’ultimo voto del parlamento alla riforma della costituzione rappresenta un passaggio storico. Un testo che comporta cambiamenti epocali per il nostro Paese introducento tempi certi per l’approvazione delle leggi, riduce il numero dei parlamentari, potenzia gli strumenti di partecipazione, mette ordine alle competenze dello Stato e delle Regioni e soprattutto cancella per sempre il bicameralismo paritario. Dai prossimi giorni prenderà il via su tutto il territorio una campagna di informazione, mobilitazione e impegno rivolta a tutti: coloro che vogliono cambiare pagina e fare dell’Italia un paese con istituzioni moderne e in grado di decidere in tempi certi, si facciano avanti, senza distinzioni di parte.

La riforma non tocca, non sfiora e non si avvicina nemmeno alla parte fondamentale della nostra Carta costituzionale ovvero quella dei principi fondamentali. Ci si concentra, invece, sulla seconda, quella che riguarda il funzionamento degli organi dello Stato e il procedimento legislativo. Affrontando nodi, come quello del superamento del bicameralismo paritario, che sono sui tavoli della politica da decenni, senza essere risolti. Il bicameralismo come ce l’abbiamo in Italia ormai non esiste più in alcuno stato europeo, eccezion fatta per la Romania (che pure ha differenziato i poteri delle due camere).

Cosa prevede la riforma costituzionale.
Eliminato il rapporto di fiducia tra il Governo e il Senato: sarà la sola Camera ad accordare o revocare la fiducia al Governo.

Differenziate le funzioni delle Camere: alla Camera dei deputati è attribuita la rappresentanza della Nazione e al Senato la rappresentanza delle Istituzioni territoriali, nonché il raccordo tra lo Stato, l’Unione europea e gli enti territoriali.

Semplificato il procedimento legislativo: la partecipazione paritaria delle due Camere sarà limitata a un numero definito di leggi bicamerali (leggi costituzionali e leggi in materia di elezione del Senato, referendum popolare e ordinamento degli enti territoriali). Per tutte le altre leggi, il Senato potrà solo proporre modifiche sulle quali la Camera si pronuncia in via definitiva.

Introdotto nell’ambito dei regolamenti parlamentari lo Statuto delle opposizioni, a garanzia dei diritti delle minoranze.

Previsto il dovere di partecipazione dei parlamentari alle sedute dell’Assemblea e a lavori della Commissione.

Rafforzato il principio della parità di genere nell’accesso alla rappresentanza politica, con riferimento sia al parlamento nazionale che agli organi elettivi regionali.

La composizione e l’elezione del nuovo Senato.
Ridotto il numero complessivo dei senatori a 100 (rispetto agli attuali 315 senatori elettivi), ma saranno tutti già eletti nelle proprie istituzioni (saranno sindaci e consiglieri regionali) e dunque non percepiranno alcuna indennità in quanto senatori.

Il riequilibrio del sistema e degli organi costituzionali di garanzia
Introdotto il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali: a rafforzamento delle prerogative del Parlamento, è riconosciuta la possibilità di rinviare alla Corte Costituzionale le leggi elettorali, su ricorso di un terzo dei senatori o di un quarto dei deputati.

Riformato il sistema di elezione del Presidente della Repubblica: in conseguenza del nuovo assetto istituzionale, per l’elezione del Presidente da parte del Parlamento in seduta comune (630 deputati+ 100 senatori) è previsto un nuovo sistema di soglie di maggioranza:
–  2/3 dell’assemblea dal primo al terzo scrutinio;
–  3/5 dell’assemblea dal quarto al sesto scrutinio;
–  3/5 dei votanti dal settimo scrutinio.

Riformato, in coerenza con la fine del bicameralismo perfetto, anche il sistema di nomina dei giudici costituzionali: dei cinque giudici di espressione parlamentare, tre saranno nominati dalla Camera e due dal Senato.

Abolito il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL).

Vincoli e prerogative dell’azione del Governo.
Ammessa la possibilità per il Governo di chiedere alle Camere la votazione prioritaria dei disegni di legge dichiarati essenziali per l’attuazione del programma di governo.

Introdotti più stringenti vincoli costituzionali alla decretazione d’urgenza: la possibilità di ricorso al decreto-legge è espressamente esclusa per le leggi in materia costituzionale ed elettorale, le deleghe al Governo, l’autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, l’approvazione di bilanci e il ripristino di norme che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittime.

Più vincoli e responsabilità per gli amministratori locali: il nuovo titolo V prevede che le funzioni amministrative siano esercitate in modo da assicurare la semplificazione e la trasparenza dell’azione amministrativa, secondo criteri di efficienza e di responsabilità degli amministratori.

In generale, introdotto in Costituzione il vincolo della trasparenza della pubblica amministrazione, alla stregua del buon andamento e dell’imparzialità della stessa.

Il rapporto tra lo Stato e i territori: la nuova riforma del Titolo V.
Abolite le Province quali organi costituzionali dotati di funzioni e poteri propri.

Abolita la legislazione concorrente tra Stato e Regioni, per come delineata dalla riforma del titolo V del 2001, e rivisto conseguentemente il perimetro delle materie di competenza esclusiva, rispettivamente, statale e regionale.

Ricondotte alla competenza esclusiva dello Stato alcune materie, già concorrenti, inerenti ad interessi di rilevanza nazionale, tra cui: grandi reti di trasporto e navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; politiche sociali e dell’istruzione e formazione professionale, promozione della concorrenza.

Estese le materie ammesse a forme di federalismo differenziato: forme e condizioni particolari di autonomia potranno essere attribuite alle Regioni che abbiano i bilanci in equilibrio in alcune materie di competenza esclusiva dello Stato, tra le quali il governo del territorio, le politiche attive del lavoro, l’ordinamento scolastico, la tutela dei beni culturali, l’ambiente, il turismo, il commercio con l’estero.

Introdotta la cosiddetta “clausola di supremazia statale”: ai fini della tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica o dell’interesse nazionale, si è previsto che su proposta del Governo – che se ne assume pertanto la responsabilità – la legge statale possa intervenire anche in materie di competenza esclusiva delle Regioni.

Rafforzato il principio della corrispondenza tra le risorse spettanti agli enti territoriali e le funzioni pubbliche loro attribuite Il nuovo titolo V prevede che l’insieme delle risorse derivanti dall’autonomia finanziaria regionale e locale (cioè tributi ed entrate proprie, compartecipazioni al gettito di tributi erariali, ecc.) debba assicurare il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche attribuite ai rispettivi livelli di governo (comuni, città metropolitane e regioni).

Limitati gli emolumenti spettanti al Presidente della giunta e agli altri componenti degli organi regionali: l’importo delle loro indennità non potrà superare quello spettante ai sindaci dei comuni capoluogo di regione.

Abolito il finanziamento dei gruppi nei Consigli regionali.

Il rafforzamento degli strumenti della democrazia diretta.
Previsti tempi certi di esame e votazione finale in Parlamento per i disegni dilegge d’iniziativa popolare. Di contro, è innalzato fino a 150mila (attualmente 50mila) il numero delle sottoscrizioni richieste per la loro presentazione alle Camere.

Introdotta una nuova tipologia di consultazione – il referendum propositivo e d’indirizzo – alla quale si potranno affiancare ulteriori forme di consultazione popolare, aperte alle formazioni sociali (sul modello del débat public francese).

Aggiornato l’istituto del referendum abrogativo, con l’introduzione di un doppio quorum:
• in caso di sottoscrizione della proposta da parte di 500mila elettori, per la validità della consultazione sarà necessaria la partecipazione al referendum della maggioranza degli aventi diritto al voto;
• in caso di sottoscrizione della proposta da parte di 800mila elettori, sarà sufficiente la partecipazione della maggioranza dei votanti all’ultima elezione della Camera dei deputati.

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dichiarazioni Politica

Legge elettorale e questione di fiducia: pienamente legittima e corretta. Ecco perchè

Di seguito alcune argomentazioni che ritengo utile condividere per argomentare il perché l’apposizione della questione di fiducia sulla legge elettorale è legittima e giusta non solo sotto il profilo strettamente formale, ma anche per ragioni di natura politica e di opportunità.

  1. Piena legittimità della questione di fiducia sulla legge elettorale

Non vi è nessuna norma di rango costituzionale né di rango ordinario né di natura regolamentare che preveda che le leggi elettorali rientrino tra quelle materie sulle quali il Governo non possa apporre la questione di fiducia. La Costituzione regola solo mozione di fiducia e mozione di sfiducia. L’articolo 72 comma 4 che stabilisce si svolta “procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera” per le leggi elettorali, è teso ad escludere che esse possano essere approvate direttamente in commissione.

E’ bene cominciare da questa premessa nell’esaminare la condizione in cui ci apprestiamo ad approvare l’Italicum. A questo si aggiunge quanto dichiarato dalla presidente della Camera dei Deputati durante la seduta del 28 aprile 2015, nel corso del dibattito sviluppatosi dopo l’apposizione della fiducia da parte del Governo sul testo della nuova legge elettorale. “Il Governo può, per prerogativa costituzionale, porre in ogni fase del procedimento legislativo la questione di fiducia, individuandone l’oggetto (…)”, ha spiegato la presidente Boldrini. L’articolo 116, comma 4, del Regolamento, infatti, prevede una serie di eccezioni al principio della libera apposizione della questione di fiducia, tra le quali la sua non apposizione su “argomenti per i quali il regolamento prescrive votazioni per scrutinio segreto”. Tale norma, tuttavia, è stata costantemente interpretata come riferibile alle sole votazioni per le quali il Regolamento prescrive “obbligatoriamente” il voto segreto, e non per quelle, come la legge elettorale, per le quali il voto segreto può essere facoltativamente richiesto.

Dopo la modifica dell’articolo 49 del Regolamento con la quale si opprimevano i numerosi casi di scrutinio segreto obbligatorio, fino ad allora previsti, la questione fu nuovamente affrontata. Il 24 gennaio del 1990, l’allora Presidente della Camera, Nilde Iotti, sollecitata da più parti sul tema, ebbe occasione di affermare che “pur ritenendo giusto esaminare il più presto possibile i rapporti tra le modifiche all’articolo 49 [voto segreto] e l’articolo 116 [questione di fiducia]”, solo una “esplicita modificazione del quarto comma dell’articolo 116” potrebbe consentire di “limitare l’esercizio di quella che, attraverso una consolidata consuetudine, si è affermata come prerogativa del Governo”, ossia la questione di fiducia. Come è noto dal 1990 ad oggi il quarto comma dell’articolo 116 non è mai stato oggetto di modifica.

Si può dunque affermare senza timore di smentita che ad oggi la questione “dell’illegittimità” o “dell’incostituzionalità” dell’avvenuta apposizione della fiducia sulla legge elettorale non poggi in realtà su alcuna solida base giuridica.

  1. La legge elettorale come priorità

Il legittimo e assolutamente necessario diritto di critica deve convivere con il principio della decisione politica da parte della maggioranza parlamentare. Sono le decisioni a maggioranza a tenere viva e vitale la democrazia parlamentare. Partendo dal presupposto che questo principio deve valere a prescindere dagli equilibri politici di oggi, che sono diversi da quelli di ieri e che non è detto restino gli stessi anche domani. Che la legge elettorale sia una priorità di questo governo e della maggioranza che lo sostiene, è tema posto fin dal discorso di insediamento di questo Governo e del precedente, entrambi nati per espressione diretta del Partito Democratico e da esso direttamente guidati e sostenuti. Senza dimenticare il monito (tra i tanti) del presidente emerito Giorgio Napolitano lanciato nel suo discorso di giuramento per il secondo mandato da presidente della Repubblica, pronunciato il 22 aprile 2013. “Imperdonabile resta la mancata riforma della legge elettorale del 2005”, disse il presidente invitando deputati e senatori “a rivedere in particolare la norma relativa all’attribuzione di un premio di maggioranza senza che sia raggiunta una soglia minima di voti o di seggi”.

Nei fatti la questione di fiducia altro non è che uno strumento nella mani del Governo per verificare la tenuta della propria maggioranza su questioni ritenute prioritarie per la sopravvivenza del Governo stesso. Politicamente non sfugge a nessuno quanto prioritario sia per il PD l’approvazione di questa legge elettorale.

  1. I precedenti: le altre leggi elettorali ‘nazionali’

In questi giorni sentiamo parlare dell’apposizione della fiducia sulla legge elettorale come di “un fatto con rarissimi precedenti nella storia”. E’ vero. Tuttavia si dimentica di ricordare che dal 1946 ad oggi questa è la quinta volta che il Parlamento è impegnato nell’approvazione di una nuova legge elettorale per le elezioni nazionali. Vediamo i quattro precedenti.

 

1) Nel gennaio del 1948 viene recepito, con la legge 6 del 20 gennaio, il decreto luogotenenziale del 1946 che introduceva una legge elettorale proporzionale, la prima legge per l’elezione del parlamento repubblicano.

 

2) La legge 31 marzo 1953, n. 148, (cd. legge truffa) approvata con l’apposizione della fiducia de parte del Governo guidato da Alcide De Gasperi, che modifica la legge del 1948 attribuendo un premio di  maggioranza di 380 seggi alle liste collegate tra loro che, in tutto il territorio nazionale, avessero raccolto la metà più uno del totale dei voti validi attribuiti a tutte le liste. Tale legge prevedeva che se nessuna coalizione avesse superato la metà dei voti validi, si sarebbe applicato il riparto in maniera proporzionale previsto dal sistema previgente.

Tale legge, approvata con l’apposizione del voto di fiducia, non ha mai trovato applicazione, non essendo stato raggiunto il premio di maggioranza nelle elezioni che si tennero il 7 giugno del 1953. Questo sistema venne successivamente abrogato con la legge 31 luglio 1954, n. 615, che ripristinò in ogni sua parte il sistema elettorale precedente.

3) il 4 agosto del 1993 vennero approvate le leggi 276 e 277 del 1993 (cd. “Leggi Mattarella”), che trasformano il sistema proporzionale in un sistema misto, a prevalenza maggioritario. Durante l’esame in parlamento, grazie ad un accordo all’unanimità tra tutti i gruppi parlamentari, si decise di votare l’intero provvedimento a voto palese. Come conseguenza di questo accordo, non fu posta la questione di fiducia.

4) Dopo vari tentativi di “correzione” della legge Mattarella si arriva all’approvazione della legge n. 270 del 2005, cd. Porcellum. Anche nel caso di questa legge, a lungo il Parlamento esaminò proposte di legge relative a possibili correzioni del sistema di scorporo, e all’ultimo momento, tramite un paio di emendamenti al provvedimento in esame, si cambiò la legge elettorale, tornando ad un sistema elettorale proporzionale con liste bloccate.

In definitiva, nei quattro precedenti di approvazione di nuove leggi elettorali in epoca repubblicana, si è votato due volte senza voto segreto (la legge del ’48 e quella del ’93) e una volta con il ricorso alla fiducia (quella del ’53). In questa rapida analisi, si tralasciano i casi di leggi elettorali per altri livelli (ad esempio quelli degli enti locali, per le cui leggi elettorali sull’elezione diretta del sindaco nel 1990 vennero poste 4 fiducie, autorizzate dalla presidenza della Camera di allora, guidata da Nilde Iotti).

  1. Il voto segreto

Occorrerebbe piuttosto interrogarsi sull’opportunità che una materia come quella elettorale, sia ancora ampiamente assoggettabile a scrutini segreti che, come è noto, lungi dall’attribuire trasparenza alle azioni politiche finendo per alimentare spesso azioni nascoste e censurabili. Nella vita parlamentare vi sono stati numerosissimi Governi politici nella segretezza del voto, senza alcuna assunzione di responsabilità chiara ed esplicita di fronte agli elettori, e senza che i cittadini ne potessero neppure comprendere le reali motivazioni, con il conseguente discredito e la delegittimazione che ne è derivata per le stesse istituzioni parlamentari.

Peraltro nel 1993, quando venne votata la legge poi ribattezza “Mattarellum”, per esplicita scelta di tutti i gruppi parlamentari presenti alla Camera si evitò di richiedere il voto segreto. Tutti i voti vennero effettuati a viso aperto, nonostante il regolamento di allora su questo punto fosse lo stesso di oggi. Per l’Italicum, su poco meno di 100 emendamenti presentati, per oltre l’80% dei voti era stato richiesto il voto segreto.

  1. Perché la fiducia

Con la scelta di apporre la fiducia il Governo non solo mette in discussione apertamente, senza sotterfugi, la propria responsabilità politica di fronte alla Camera dalla quale ha ottenuto la fiducia iniziale; ma in presenza di un provvedimento ritenuto essenziale per il programma della maggioranza che lo sostiene e del Governo stesso, ne mette in discussione la propria permanenza in carica essendo la legge elettorale punto fondamentale delle complessive ‘riforme strutturali’ che ci siamo impegnati ad attuare. Nel caso della legge elettorale questo atto di assoluta trasparenza ha un senso politicamente maggiore legato al fatto che su questo identico testo il 27 gennaio 2015, esattamente tre mesi fa, il Senato si è espresso ad ampia maggioranza (superiore a quella della sola maggioranza). Non poteva essere altrimenti data la partecipazione alla stesura del testo, oltre che di tutti i gruppi di maggioranza, anche di Forza Italia. Il cambio di posizione di Forza Italia, legato al fatto che si è votato un presidente della Repubblica non gradito, non poteva giustificare un cambio di rotta. Anche perché i due passaggi parlamentari precedenti, il primo alla Camera e soprattutto il secondo al Senato, hanno profondamente modificato il testo in esame. Moltissime delle obiezioni proclamate dalle opposizioni in dichiarazione di voto in prima lettura alla Camera, sono diventate poi oggetto di emendamenti approvati al Senato nel testo di cui era relatrice la senatrice Anna Finocchiaro. Il cd. porcellum, pur in assenza di voto di fiducia, venne approvato in soli 5 giorni, senza alcun autentico arricchimento derivante da una sana dinamica parlamentare.

  1. Cos è democratico e cosa non lo è?

Molte obiezioni in queste ore fanno riferimento al fatto che l’apposizione della fiducia comprime la libertà del parlamento, viola la democrazia o sarebbe una invasione di campo del Governo. Sono fermamente convinto che sia molto più democratico un voto di fiducia in trasparenza e nella massima chiarezza su un testo che è frutto di un lungo, complesso e ricco iter parlamentare e prima ancora di un approfondito lavoro di due commissioni di saggi (prima nominati dalla presidenza della Repubblica e poi dalla presidenza del Consiglio) piuttosto che una legge sottoposta per oltre l’80% delle sue votazioni finali al segreto dell’urna. Con l’eventualità, tutt’altro che peregrina, di assistere all’aggregazione di minoranze assai diverse ed eterogenee, che nulla avrebbero avuto in comune se non l’abbattimento del Governo in carica.

Il 17 gennaio del 1953, in un importante discorso tenuto alla Camera dopo l’apposizione della fiducia sulla proposta di legge elettorale, l’allora presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, pronunciò queste parole, che mi paiono attuali. Siamo intervenuti “con una impostazione di fiducia perchè ci trovavamo dinanzi, non ad un rallentamento della macchina, ma già al sabotaggio, all’insabbiamento della macchina. E noi non avevamo altra alternativa, onorevoli colleghi, tranne la resa senza condizioni innanzi all’abuso del regolamento, innanzi alla negazione del principio, che è fondamentale per la convivenza tra maggioranza e minoranza, e cioè che la minoranza ha diritto alla critica e la maggioranza ha diritto alla decisione“. Alcide De Gasperi, 17 gennaio 1953.

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interventi Politica

Legge elettorale, il testo del mio intervento in aula alla Camera

Onorevole presidente, onorevole ministro, sottosegretari, colleghi;

la legge elettorale è argomento da sempre capace di accendere gli animi più di altri nel dibattito parlamentare. Sicuramente meno tra l’opinione pubblica, ma ciò non ne riduce l’importanza poiche si tratta dello struemtno attraverso cui va assicurata la solidità della democrazia, il funzionamento delle sue istituzioni, il riconoscimento della volontà popolare. Tre sono gli obiettivi che una buona legge elettorale deve raggungere per essere definita tale: chiarezza del risultato, governabilità, rappresentanza. Obiettivi che questa legge elettorale, ribattezzata “Italicum”, perseguie ampiamente.

> IL VIDEO DEL MIO INTERVENTO IN AULA ALLA CAMERA

I critici di questa legge sostengono che essa certifichi il sostanziale esautoramento del parlamento a favore del Governo. Occorre far presente che il testo che l’aula della Camera esmaina oggi è alla terza lettura parlamentare e che la formulazione approvata a Montecitorio in prima lettura nel marzo 2015 è stata poi profondamente modificata e migliorata dal Senato in Commissione e in Aula, a seguito di un intenso lavoro parlamentare svolto nell’altro ramo del parlamento. Un lavoro a cui ha contribuito un’ampia maggioranza parlamentare, ben superiore a quella che sostiene il Governo (che pure sarebbe stata sufficiente). A questo proposito giova ricordare che quello che esaminiamo oggi è lo stesso identico testo votato il 27 gennaio scorso dall’aula del Senato a conclusione della seconda lettura parlamentare. Esattamente tre mesi fa quindi. E’ del tutto evidente quanto sia erroneo dire – come si sente in questi giorni – che questa legge è scritta e votata dalla sola maggioranza di Governo.

Perchè è chiaro che la contraddizione non è in chi coerentemente qui a Montecitorio sostiene l’intesa raggiunta al Senato (dove numericamente le forze in campo sono differenti); le contraddizioni sono piuttosto in chi, dopo aver sostenuto e votato questo stesso testo a Palazzo Madama, qui alla Camera cambia indea come ritorsione per aver letto un presidente della Repubblica diverso da quello che desiderava. Se anche la maggioranza cambiasse rotta in maniera così repentina, sarebbe come dar ragione a chi non ha condiviso quell’intesa sull’elezione del nuovo presidente della Repubblica, che invece resterà uno dei maggiori successi di questa legislatura.

Si doveva cedere a quel voto di scambio tra riforme e Quirinale? Dovremmo riportare anche questo tentativo di dotare l’Italia finalmente di una legge elettorale degna di questo nome e di istituzioni moderne, nella palude dei patti non rispettati? Dovremmo riproporre quel film che si conclude sempre con un nulla di fatto e che abbiamo visto troppe volte in passato (quasi sempre con protagonista la stessa forza politica che oggi vorrebbe far fallire anche queste riforme)?

Non credo sarebbe stato utile. Dopo oltre trent’anni di discussioni e commissioni bicamerali, comitati di saggi e un ampio dibattito dentro e fuori del parlamento, i tempi sono maturi per decidere e innovare il nostro sistema politico e istituzionale. La nuova legge elettorale va in questa direzione.

Le innovzioni di maggior portata sono il premio alla lista e il ballottaggio tra le prime due liste nel caso in cui nessuna raggiunta il 40% dei consensi. Si tratta di una combinazione che assicura chiarezza del risultato e una maggioranza sicura (comunque non superiore al 55% dei seggi) per permettere al Governo di governare e alla maggioranza parlamentare di esercitare la propria funzione.

Si contesta che un meccanismo simile condanni i partiti minori a rimanere tali e a far crescere molti cespugli attorno ad uno/due due grandi alberi. Argomentazione assai debole. La soglia di sbarramento (abbassata dal Senato al 3%) e il premio di maggioranza alla lista che ottiene più voti, assicurano la rappresntanza anche alle liste minori che scelgono di non aggregarsi; ma senza regalare loro quel potere di veto che in passato ha paralizzato per anni il sitsema politico italiano.

Una paralisi certificata dai 63 governi che si sono succeduti in 69 anni di vita della Repubblica e dalla perenne instabilità politica degli ultimi anni favorita proprio dalla presenza di coalizioni eterogenee, che pur di riuscire a vincere contenevano al proprio interno tutto il suo esatto contrario, salvo poi non riuscire a Governare. Voler tendere ad un sistema forse non strettamente bipolare, ma certamente maggioritario in cui è garantita la possibliità di una sana alternanza, è cosa utile e giusta.

L’introduzione dei collegi è un altro buon risultato di questa legge. Se ne contesta la prevoisione di capilista miscelata con l’elezione di altri deputati attraverso le preferenze. I capilista altro non sono che l’esatta corrispondenza dei candidati che un tempo venivano scelti nei collegi uninominali del cosiddetto “Mattarellum”. Per comprenderlo basta guardare il fac-simile della futura scheda elettorale, che prevede il nome del candidato di collegio stampato sulla scheda a sinistra del simbolo costruendo un forte legame tra collegio, candidato e lista di appartenenza.

Nessuno ai tempi del ‘Mattarellum’ e oggi rievocando quel sistema, ha mai definito gli eletti con quella legge dei ‘nominati’. Eppure il meccanismo in entrata era lo stesso. Nessuno ha mai definito ‘nominati’ i parlamentari eletti alla Camera dei Comuni nel Regno Unito (dove ci sono i collegi uninominali) o con meccanismi di voto che fanno ampio uso (esclusivo o parziale) di liste bloccate; è il caso, solo per citare due esempi, di Germania e Spagna, i cui deputati non vengono mai definiti ‘nominati’, ma eletti. Nel caso dell’Italicum, ossia di questa legge elettorale, oltre all’elezione dei capilista, molti altri parlamentari saranno scelti attraverso le preferenze dentro al proprio collegio.

A ciò aggiungiamo la garanzia di equilibrio di rappresentanza tra uomini e donne garantito dall’alternanza in lista tra i due generi, dalla doppia preferenza, dal limite massimo del 60% di capilista dello stesso sesso per ciascuna lista.

Si poteva fare meglio? Probabilmente sì. Tuttavia come ben sa chi da più anni ha l’onore di sedere in questi banchi e forse ha anche avuto qualche occasione per provare a fare meglio, ogni legge è figlia della realtà in cui viene concepita. E’ così dai tempi dell’Assemblea costituente (il cui risultato fu frutto di estenuanti mediazioni dentro e fra i partiti) ed è così da quanto esiste la democrazia.

Siamo convinti che dopo i tentativi falliti in passato e soprattutto nelle condizioni e con i numeri di questo parlamento, questa sia la proposta di legge elettorale migliore possibile  e capace di garantire al cittadino, come amava sostenere il senatore Roberto Ruffilli che ha dedicato la vita alla riforma dello Stato, il ruolo di arbitro.

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dichiarazioni Riforme costituzionali

Riforma della Costituzione: aperto il dibattito alla Camera, nel ricordo di Roberto Ruffilli

Il ricordo di Roberto Ruffilli e il contributo dato dalle donne nella lotta di Liberazione e nella fase Costituente del nostro Paese, sono stati due dei passaggi più significativi dell’intervento del parlamentare forlivese Marco Di Maio.Il 31enne romagnolo ha avuto l’onore di aprire la discussione generale in aula alla Camera sulla riforma della Costituzione, la più importante modifica che il parlamento si appresta ad approntare alla Carta varata nel 1948.

> Il video dell’intervento

Il cuore della riforma (che Marco Di Maio ha vissuto da protagonista essendo componente della Commissione Affari Costituzionali in sostituzione del ministro Maria Elena Boschi) è rappresentato soprattutto dal superamento del bicameralismo paritario, noto anche come “bicameralismo perfetto”, con la trasformazione del Senato in luogo di rappresentanza delle Regioni italiani e lasciando alla Camera dei Deputati la potestà legislativa diretta. Una semplificazione notevole, senza precedenti nell’assetto istituzionale italiano.

“Sentiamo molto forte il peso della responsabilità delle modifiche che stiamo facendo, ma anche la piena determinazione a mandare in porto – ha detto Marco Di Maio -. Una responsabilità che deriva anche dalla consapevolezza che tocca a noi, tocca a questa generazione dare attuazione a riforme e provvedimenti per troppi anni solo annunciati, recuperare il tempo perduto e le opportunità che troppo spesso la politica ha lasciato per strada”.

A proposito della necessità di fare le riforme costituzionali con uno schieramento più ampio della semplice maggioranza di Governo, Di Maio ha citato il passaggio di uno scritto di Roberto Ruffilli, il senatore forlivese trucidato nel 1988 dalle Brigate rosse nella propria abitazione di corso Diaz a Forlì. “”I partiti – sosteneva Ruffilli – si accordino sulle regole del gioco democratico, con il perfezionamento di quelle scritte nella Costituzione e di quelle poste in essere nei primi decenni di vita repubblicana, dimostrandosi capaci di realizzare compromessi validi fra “interessi partigiani” e “interessi sistemici”, a completamento e sviluppo di quei compromessi che hanno reso possibile la fondazione e la crescita della democrazia italiana”.

Il deputato forlivese ha ricordato che Ruffilli è stato ucciso proprio nel momento “in cui sta lavorando ad un vasto programma di riforme, la cui urgenza egli avvertiva allora come noi avvertiamo oggi”.

A cura dell’ufficio stampa