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Legge elettorale, placare gli entusiasmi e ragionare nel merito

Con spirito costruttivo, senza polemiche o difese d’ufficio, voglio proporre alcuni spunti per interpretare la decisione di oggi della Corte costituzionale senza cadere nelle semplificazioni che spesso rendono ancor più incomprensibili temi che già appassionano poco i non addetti ai lavori. Diciamo subito che chi sostiene che l’Italicum è stato bocciato o demolito, commette un errore. Tant’è che la stessa Corte nel suo comunicato ufficiale (lo si può leggere qui https://goo.gl/0AVMV4) spiega che “all’esito della sentenza la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione. Vediamo perchè.

La Corte costituzionale con la sentenza di oggi – le cui motivazioni dettagliate saranno pubblicate tra un mese – ha bocciato il ballottaggio. Scelta di buon senso visto che il secondo turno era stato pensato per un sistema parlamentare mono-camerale o a camera prevalente, come si direbbe in gergo. Il referendum del 4 dicembre ha sancito il mantenimento del bicameralismo “perfetto” e dunque il ballottaggio per la sola Camera non avrebbe potuto esistere.
E’ stata eliminata la discrezionalità per coloro che sono candidati in più collegi di decidere autonomamente in quale collegio essere eletti (ripristinando il sorteggio, come prevede la legge).

Tutto il resto dell’impianto dalla legge approvata dal parlamento, viene confermato. Rimangono i capilista di collegio, rimangono le preferenze, rimane il premio di maggioranza per chi ottiene il 40%, rimane il disegno dei collegi che era stato formulato (e che avevo seguito personalmente come relatore del provvedimento). Rimangono persino le pluri-candidature, ovvero la possibilità di essere candidati come capilista in più collegi fino ad un massimo di 10 (l’aspetto che ho digerito meno quando ho votato questa legge).

Insomma, chi “festeggia” dicendo che l’Italicum è stato bocciato, sbaglia. Chi dice che l’Italicum ha fatto la stessa fine del “Porcellum”, dice una cosa errata. Chi afferma che la Corte costituzionale ha “demolito” l’Italicum, prende in giro le persone. Poi capisco la logica della dialettica tra i partiti, la necessità della polemica politica (è davvero così necessaria) e il bisogno di stare sui media sparandola grossa: ma stando a quanto deciso dalla Corte costituzionale, la verità è questa.

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Nuova legge elettorale finalmente approvata: sarà chiaro chi vince e chi governa, fine degli alibi

A cura dell’ufficio stampa

“L’Italia ha finalmente una nuova legge elettorale. Alle prossime elezioni politiche sarà chiaro chi sarà il vincitore, non ci saranno coalizioni tenute assieme con un filo di spago e sotto il ricatto dei signori dello zero virgola, torneranno i collegi territoriali a cui ogni parlamentare dovrà fare riferimento, sarà assicurata la parità di rappresentanza tra uomini e donne. Tutti temi su cui il Pd si batte sin dalla sua nascita”. Lo afferma il deputato Marco Di Maio, componente della Commissione Affari Costituzionali della Camera, a seguito dell’approvazione dell’Italicum.

> VIDEO: il mio intervento in aula | Il testo
> Sintesi del provvedimento
> Perchè è legittimo e giusto aver posto la fiducia

“E’ legittimo che ci sia chi non condivide questo impianto – aggiunge Marco Di Maio -; ma le democrazie funzionano se alla fine delle discussioni e dei confronti c’è una maggioranza che si assume la responsabilità di decidere. Così funzionano i sistemi parlamentari. Senza il rispetto di questo principio, si rischia la paralisi. Ed è quello che a cui su molti argomenti e per molti anni abbiamo assistito in Italia”.

“Spiace continuare a leggere e sentire dichiarazioni deliranti che fanno riferimento a una stagione buia per la nostra storia come quella del Ventennio – aggiunge Marco Di Maio -. Parlare di fascismo, deriva autoritaria, Aventino è un insulto al nostro passato e una bugia raccontata, peraltro, in malafede. Il testo approvato è frutto di 15 mesi di discussioni dentro e fuori il parlamento, dentro e fuori i partiti; ha subito profonde modifiche nei due passaggi parlamentari fatti prima di tornare alla Camera. Esattamente tre mesi fa il Senato ha approvato questo identico testo con un’ampia maggioranza. Non è cambiato nulla; se non che nel frattempo abbiamo eletto un nuovo capo dello Stato e che per questo Forza Italia ha cambiato radicalmente opinione”.

“Ora bisogna continuare il cammino delle riforme – chiude Marco Di Maio – riprendendo il lavoro anche su quella costituzionale che è all’esame del Senato e su cui il confronto parlamentare e politico potrà portare nuove e positive modifiche. Quel che non possiamo permetterci è interrompere questo percorso riformatore da troppi anni inceppato e bloccato da veti incrociati”.

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Legge elettorale e questione di fiducia: pienamente legittima e corretta. Ecco perchè

Di seguito alcune argomentazioni che ritengo utile condividere per argomentare il perché l’apposizione della questione di fiducia sulla legge elettorale è legittima e giusta non solo sotto il profilo strettamente formale, ma anche per ragioni di natura politica e di opportunità.

  1. Piena legittimità della questione di fiducia sulla legge elettorale

Non vi è nessuna norma di rango costituzionale né di rango ordinario né di natura regolamentare che preveda che le leggi elettorali rientrino tra quelle materie sulle quali il Governo non possa apporre la questione di fiducia. La Costituzione regola solo mozione di fiducia e mozione di sfiducia. L’articolo 72 comma 4 che stabilisce si svolta “procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera” per le leggi elettorali, è teso ad escludere che esse possano essere approvate direttamente in commissione.

E’ bene cominciare da questa premessa nell’esaminare la condizione in cui ci apprestiamo ad approvare l’Italicum. A questo si aggiunge quanto dichiarato dalla presidente della Camera dei Deputati durante la seduta del 28 aprile 2015, nel corso del dibattito sviluppatosi dopo l’apposizione della fiducia da parte del Governo sul testo della nuova legge elettorale. “Il Governo può, per prerogativa costituzionale, porre in ogni fase del procedimento legislativo la questione di fiducia, individuandone l’oggetto (…)”, ha spiegato la presidente Boldrini. L’articolo 116, comma 4, del Regolamento, infatti, prevede una serie di eccezioni al principio della libera apposizione della questione di fiducia, tra le quali la sua non apposizione su “argomenti per i quali il regolamento prescrive votazioni per scrutinio segreto”. Tale norma, tuttavia, è stata costantemente interpretata come riferibile alle sole votazioni per le quali il Regolamento prescrive “obbligatoriamente” il voto segreto, e non per quelle, come la legge elettorale, per le quali il voto segreto può essere facoltativamente richiesto.

Dopo la modifica dell’articolo 49 del Regolamento con la quale si opprimevano i numerosi casi di scrutinio segreto obbligatorio, fino ad allora previsti, la questione fu nuovamente affrontata. Il 24 gennaio del 1990, l’allora Presidente della Camera, Nilde Iotti, sollecitata da più parti sul tema, ebbe occasione di affermare che “pur ritenendo giusto esaminare il più presto possibile i rapporti tra le modifiche all’articolo 49 [voto segreto] e l’articolo 116 [questione di fiducia]”, solo una “esplicita modificazione del quarto comma dell’articolo 116” potrebbe consentire di “limitare l’esercizio di quella che, attraverso una consolidata consuetudine, si è affermata come prerogativa del Governo”, ossia la questione di fiducia. Come è noto dal 1990 ad oggi il quarto comma dell’articolo 116 non è mai stato oggetto di modifica.

Si può dunque affermare senza timore di smentita che ad oggi la questione “dell’illegittimità” o “dell’incostituzionalità” dell’avvenuta apposizione della fiducia sulla legge elettorale non poggi in realtà su alcuna solida base giuridica.

  1. La legge elettorale come priorità

Il legittimo e assolutamente necessario diritto di critica deve convivere con il principio della decisione politica da parte della maggioranza parlamentare. Sono le decisioni a maggioranza a tenere viva e vitale la democrazia parlamentare. Partendo dal presupposto che questo principio deve valere a prescindere dagli equilibri politici di oggi, che sono diversi da quelli di ieri e che non è detto restino gli stessi anche domani. Che la legge elettorale sia una priorità di questo governo e della maggioranza che lo sostiene, è tema posto fin dal discorso di insediamento di questo Governo e del precedente, entrambi nati per espressione diretta del Partito Democratico e da esso direttamente guidati e sostenuti. Senza dimenticare il monito (tra i tanti) del presidente emerito Giorgio Napolitano lanciato nel suo discorso di giuramento per il secondo mandato da presidente della Repubblica, pronunciato il 22 aprile 2013. “Imperdonabile resta la mancata riforma della legge elettorale del 2005”, disse il presidente invitando deputati e senatori “a rivedere in particolare la norma relativa all’attribuzione di un premio di maggioranza senza che sia raggiunta una soglia minima di voti o di seggi”.

Nei fatti la questione di fiducia altro non è che uno strumento nella mani del Governo per verificare la tenuta della propria maggioranza su questioni ritenute prioritarie per la sopravvivenza del Governo stesso. Politicamente non sfugge a nessuno quanto prioritario sia per il PD l’approvazione di questa legge elettorale.

  1. I precedenti: le altre leggi elettorali ‘nazionali’

In questi giorni sentiamo parlare dell’apposizione della fiducia sulla legge elettorale come di “un fatto con rarissimi precedenti nella storia”. E’ vero. Tuttavia si dimentica di ricordare che dal 1946 ad oggi questa è la quinta volta che il Parlamento è impegnato nell’approvazione di una nuova legge elettorale per le elezioni nazionali. Vediamo i quattro precedenti.

 

1) Nel gennaio del 1948 viene recepito, con la legge 6 del 20 gennaio, il decreto luogotenenziale del 1946 che introduceva una legge elettorale proporzionale, la prima legge per l’elezione del parlamento repubblicano.

 

2) La legge 31 marzo 1953, n. 148, (cd. legge truffa) approvata con l’apposizione della fiducia de parte del Governo guidato da Alcide De Gasperi, che modifica la legge del 1948 attribuendo un premio di  maggioranza di 380 seggi alle liste collegate tra loro che, in tutto il territorio nazionale, avessero raccolto la metà più uno del totale dei voti validi attribuiti a tutte le liste. Tale legge prevedeva che se nessuna coalizione avesse superato la metà dei voti validi, si sarebbe applicato il riparto in maniera proporzionale previsto dal sistema previgente.

Tale legge, approvata con l’apposizione del voto di fiducia, non ha mai trovato applicazione, non essendo stato raggiunto il premio di maggioranza nelle elezioni che si tennero il 7 giugno del 1953. Questo sistema venne successivamente abrogato con la legge 31 luglio 1954, n. 615, che ripristinò in ogni sua parte il sistema elettorale precedente.

3) il 4 agosto del 1993 vennero approvate le leggi 276 e 277 del 1993 (cd. “Leggi Mattarella”), che trasformano il sistema proporzionale in un sistema misto, a prevalenza maggioritario. Durante l’esame in parlamento, grazie ad un accordo all’unanimità tra tutti i gruppi parlamentari, si decise di votare l’intero provvedimento a voto palese. Come conseguenza di questo accordo, non fu posta la questione di fiducia.

4) Dopo vari tentativi di “correzione” della legge Mattarella si arriva all’approvazione della legge n. 270 del 2005, cd. Porcellum. Anche nel caso di questa legge, a lungo il Parlamento esaminò proposte di legge relative a possibili correzioni del sistema di scorporo, e all’ultimo momento, tramite un paio di emendamenti al provvedimento in esame, si cambiò la legge elettorale, tornando ad un sistema elettorale proporzionale con liste bloccate.

In definitiva, nei quattro precedenti di approvazione di nuove leggi elettorali in epoca repubblicana, si è votato due volte senza voto segreto (la legge del ’48 e quella del ’93) e una volta con il ricorso alla fiducia (quella del ’53). In questa rapida analisi, si tralasciano i casi di leggi elettorali per altri livelli (ad esempio quelli degli enti locali, per le cui leggi elettorali sull’elezione diretta del sindaco nel 1990 vennero poste 4 fiducie, autorizzate dalla presidenza della Camera di allora, guidata da Nilde Iotti).

  1. Il voto segreto

Occorrerebbe piuttosto interrogarsi sull’opportunità che una materia come quella elettorale, sia ancora ampiamente assoggettabile a scrutini segreti che, come è noto, lungi dall’attribuire trasparenza alle azioni politiche finendo per alimentare spesso azioni nascoste e censurabili. Nella vita parlamentare vi sono stati numerosissimi Governi politici nella segretezza del voto, senza alcuna assunzione di responsabilità chiara ed esplicita di fronte agli elettori, e senza che i cittadini ne potessero neppure comprendere le reali motivazioni, con il conseguente discredito e la delegittimazione che ne è derivata per le stesse istituzioni parlamentari.

Peraltro nel 1993, quando venne votata la legge poi ribattezza “Mattarellum”, per esplicita scelta di tutti i gruppi parlamentari presenti alla Camera si evitò di richiedere il voto segreto. Tutti i voti vennero effettuati a viso aperto, nonostante il regolamento di allora su questo punto fosse lo stesso di oggi. Per l’Italicum, su poco meno di 100 emendamenti presentati, per oltre l’80% dei voti era stato richiesto il voto segreto.

  1. Perché la fiducia

Con la scelta di apporre la fiducia il Governo non solo mette in discussione apertamente, senza sotterfugi, la propria responsabilità politica di fronte alla Camera dalla quale ha ottenuto la fiducia iniziale; ma in presenza di un provvedimento ritenuto essenziale per il programma della maggioranza che lo sostiene e del Governo stesso, ne mette in discussione la propria permanenza in carica essendo la legge elettorale punto fondamentale delle complessive ‘riforme strutturali’ che ci siamo impegnati ad attuare. Nel caso della legge elettorale questo atto di assoluta trasparenza ha un senso politicamente maggiore legato al fatto che su questo identico testo il 27 gennaio 2015, esattamente tre mesi fa, il Senato si è espresso ad ampia maggioranza (superiore a quella della sola maggioranza). Non poteva essere altrimenti data la partecipazione alla stesura del testo, oltre che di tutti i gruppi di maggioranza, anche di Forza Italia. Il cambio di posizione di Forza Italia, legato al fatto che si è votato un presidente della Repubblica non gradito, non poteva giustificare un cambio di rotta. Anche perché i due passaggi parlamentari precedenti, il primo alla Camera e soprattutto il secondo al Senato, hanno profondamente modificato il testo in esame. Moltissime delle obiezioni proclamate dalle opposizioni in dichiarazione di voto in prima lettura alla Camera, sono diventate poi oggetto di emendamenti approvati al Senato nel testo di cui era relatrice la senatrice Anna Finocchiaro. Il cd. porcellum, pur in assenza di voto di fiducia, venne approvato in soli 5 giorni, senza alcun autentico arricchimento derivante da una sana dinamica parlamentare.

  1. Cos è democratico e cosa non lo è?

Molte obiezioni in queste ore fanno riferimento al fatto che l’apposizione della fiducia comprime la libertà del parlamento, viola la democrazia o sarebbe una invasione di campo del Governo. Sono fermamente convinto che sia molto più democratico un voto di fiducia in trasparenza e nella massima chiarezza su un testo che è frutto di un lungo, complesso e ricco iter parlamentare e prima ancora di un approfondito lavoro di due commissioni di saggi (prima nominati dalla presidenza della Repubblica e poi dalla presidenza del Consiglio) piuttosto che una legge sottoposta per oltre l’80% delle sue votazioni finali al segreto dell’urna. Con l’eventualità, tutt’altro che peregrina, di assistere all’aggregazione di minoranze assai diverse ed eterogenee, che nulla avrebbero avuto in comune se non l’abbattimento del Governo in carica.

Il 17 gennaio del 1953, in un importante discorso tenuto alla Camera dopo l’apposizione della fiducia sulla proposta di legge elettorale, l’allora presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, pronunciò queste parole, che mi paiono attuali. Siamo intervenuti “con una impostazione di fiducia perchè ci trovavamo dinanzi, non ad un rallentamento della macchina, ma già al sabotaggio, all’insabbiamento della macchina. E noi non avevamo altra alternativa, onorevoli colleghi, tranne la resa senza condizioni innanzi all’abuso del regolamento, innanzi alla negazione del principio, che è fondamentale per la convivenza tra maggioranza e minoranza, e cioè che la minoranza ha diritto alla critica e la maggioranza ha diritto alla decisione“. Alcide De Gasperi, 17 gennaio 1953.

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Legge elettorale, il testo del mio intervento in aula alla Camera

Onorevole presidente, onorevole ministro, sottosegretari, colleghi;

la legge elettorale è argomento da sempre capace di accendere gli animi più di altri nel dibattito parlamentare. Sicuramente meno tra l’opinione pubblica, ma ciò non ne riduce l’importanza poiche si tratta dello struemtno attraverso cui va assicurata la solidità della democrazia, il funzionamento delle sue istituzioni, il riconoscimento della volontà popolare. Tre sono gli obiettivi che una buona legge elettorale deve raggungere per essere definita tale: chiarezza del risultato, governabilità, rappresentanza. Obiettivi che questa legge elettorale, ribattezzata “Italicum”, perseguie ampiamente.

> IL VIDEO DEL MIO INTERVENTO IN AULA ALLA CAMERA

I critici di questa legge sostengono che essa certifichi il sostanziale esautoramento del parlamento a favore del Governo. Occorre far presente che il testo che l’aula della Camera esmaina oggi è alla terza lettura parlamentare e che la formulazione approvata a Montecitorio in prima lettura nel marzo 2015 è stata poi profondamente modificata e migliorata dal Senato in Commissione e in Aula, a seguito di un intenso lavoro parlamentare svolto nell’altro ramo del parlamento. Un lavoro a cui ha contribuito un’ampia maggioranza parlamentare, ben superiore a quella che sostiene il Governo (che pure sarebbe stata sufficiente). A questo proposito giova ricordare che quello che esaminiamo oggi è lo stesso identico testo votato il 27 gennaio scorso dall’aula del Senato a conclusione della seconda lettura parlamentare. Esattamente tre mesi fa quindi. E’ del tutto evidente quanto sia erroneo dire – come si sente in questi giorni – che questa legge è scritta e votata dalla sola maggioranza di Governo.

Perchè è chiaro che la contraddizione non è in chi coerentemente qui a Montecitorio sostiene l’intesa raggiunta al Senato (dove numericamente le forze in campo sono differenti); le contraddizioni sono piuttosto in chi, dopo aver sostenuto e votato questo stesso testo a Palazzo Madama, qui alla Camera cambia indea come ritorsione per aver letto un presidente della Repubblica diverso da quello che desiderava. Se anche la maggioranza cambiasse rotta in maniera così repentina, sarebbe come dar ragione a chi non ha condiviso quell’intesa sull’elezione del nuovo presidente della Repubblica, che invece resterà uno dei maggiori successi di questa legislatura.

Si doveva cedere a quel voto di scambio tra riforme e Quirinale? Dovremmo riportare anche questo tentativo di dotare l’Italia finalmente di una legge elettorale degna di questo nome e di istituzioni moderne, nella palude dei patti non rispettati? Dovremmo riproporre quel film che si conclude sempre con un nulla di fatto e che abbiamo visto troppe volte in passato (quasi sempre con protagonista la stessa forza politica che oggi vorrebbe far fallire anche queste riforme)?

Non credo sarebbe stato utile. Dopo oltre trent’anni di discussioni e commissioni bicamerali, comitati di saggi e un ampio dibattito dentro e fuori del parlamento, i tempi sono maturi per decidere e innovare il nostro sistema politico e istituzionale. La nuova legge elettorale va in questa direzione.

Le innovzioni di maggior portata sono il premio alla lista e il ballottaggio tra le prime due liste nel caso in cui nessuna raggiunta il 40% dei consensi. Si tratta di una combinazione che assicura chiarezza del risultato e una maggioranza sicura (comunque non superiore al 55% dei seggi) per permettere al Governo di governare e alla maggioranza parlamentare di esercitare la propria funzione.

Si contesta che un meccanismo simile condanni i partiti minori a rimanere tali e a far crescere molti cespugli attorno ad uno/due due grandi alberi. Argomentazione assai debole. La soglia di sbarramento (abbassata dal Senato al 3%) e il premio di maggioranza alla lista che ottiene più voti, assicurano la rappresntanza anche alle liste minori che scelgono di non aggregarsi; ma senza regalare loro quel potere di veto che in passato ha paralizzato per anni il sitsema politico italiano.

Una paralisi certificata dai 63 governi che si sono succeduti in 69 anni di vita della Repubblica e dalla perenne instabilità politica degli ultimi anni favorita proprio dalla presenza di coalizioni eterogenee, che pur di riuscire a vincere contenevano al proprio interno tutto il suo esatto contrario, salvo poi non riuscire a Governare. Voler tendere ad un sistema forse non strettamente bipolare, ma certamente maggioritario in cui è garantita la possibliità di una sana alternanza, è cosa utile e giusta.

L’introduzione dei collegi è un altro buon risultato di questa legge. Se ne contesta la prevoisione di capilista miscelata con l’elezione di altri deputati attraverso le preferenze. I capilista altro non sono che l’esatta corrispondenza dei candidati che un tempo venivano scelti nei collegi uninominali del cosiddetto “Mattarellum”. Per comprenderlo basta guardare il fac-simile della futura scheda elettorale, che prevede il nome del candidato di collegio stampato sulla scheda a sinistra del simbolo costruendo un forte legame tra collegio, candidato e lista di appartenenza.

Nessuno ai tempi del ‘Mattarellum’ e oggi rievocando quel sistema, ha mai definito gli eletti con quella legge dei ‘nominati’. Eppure il meccanismo in entrata era lo stesso. Nessuno ha mai definito ‘nominati’ i parlamentari eletti alla Camera dei Comuni nel Regno Unito (dove ci sono i collegi uninominali) o con meccanismi di voto che fanno ampio uso (esclusivo o parziale) di liste bloccate; è il caso, solo per citare due esempi, di Germania e Spagna, i cui deputati non vengono mai definiti ‘nominati’, ma eletti. Nel caso dell’Italicum, ossia di questa legge elettorale, oltre all’elezione dei capilista, molti altri parlamentari saranno scelti attraverso le preferenze dentro al proprio collegio.

A ciò aggiungiamo la garanzia di equilibrio di rappresentanza tra uomini e donne garantito dall’alternanza in lista tra i due generi, dalla doppia preferenza, dal limite massimo del 60% di capilista dello stesso sesso per ciascuna lista.

Si poteva fare meglio? Probabilmente sì. Tuttavia come ben sa chi da più anni ha l’onore di sedere in questi banchi e forse ha anche avuto qualche occasione per provare a fare meglio, ogni legge è figlia della realtà in cui viene concepita. E’ così dai tempi dell’Assemblea costituente (il cui risultato fu frutto di estenuanti mediazioni dentro e fra i partiti) ed è così da quanto esiste la democrazia.

Siamo convinti che dopo i tentativi falliti in passato e soprattutto nelle condizioni e con i numeri di questo parlamento, questa sia la proposta di legge elettorale migliore possibile  e capace di garantire al cittadino, come amava sostenere il senatore Roberto Ruffilli che ha dedicato la vita alla riforma dello Stato, il ruolo di arbitro.

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La nuova legge elettorale: gli elementi essenziali

La riforma della legge elettorale approvata dal Senato, e che ora passa al vaglio della Camera, configura il cosiddetto Italicum 2, una versione diversa dall’Italicum uscito dalla Camera. L’Italicum 2 prevede: liste di candidati presentate in 20 circoscrizioni elettorali suddivise nell’insieme in 100 collegi plurinominali. In ciascuna lista i candidati sono presentati in ordine alternato per sesso, i capolista dello stesso sesso non eccedono il sessanta per cento del totale in ogni circoscrizione, nessuno può essere candidato, in più collegi, neppure di altra circoscrizione, salvo i capolista nel limite di dieci collegi.

 

> Infografica: la nuova legge elettorale
Inoltre, l’elettore può esprimere fino a due preferenze, per candidati di sesso diverso tra quelli che non sono capolista; i seggi sono attribuiti su base nazionale con il metodo dei quozienti interi e dei più alti resti; accedono alla ripartizione dei seggi le liste che ottengono, su base nazionale, almeno il tre per cento dei voti validi; sono attribuiti comunque 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40 per cento dei voti validi o, in mancanza, a quella che prevale in un turno di ballottaggio tra le due con il maggior numero di voti. Non sono ammessi collegamenti tra liste o apparentamenti tra i due turni di votazione.

Sono proclamati eletti, fino a concorrenza dei seggi che spettano a ciascuna lista in ogni circoscrizione, dapprima, i capolista nei collegi, quindi i candidati che hanno ottenuto il maggior numero di preferenze; i collegi elettorali saranno determinati dal governo con un apposito decreto legislativo. C’è, infine, la ‘clausola di salvaguardia’, per cui la Camera dei deputati è eletta secondo le disposizioni dello stesso Italicum 2 a decorrere dal 1º luglio 2016.

In senato sono state introdotte altre due importanti novità.

La prima rigurarda l’obbligo per i partiti o i movimenti che concorrono alle elezioni di presentare, al momento del deposito delle liste, anche il proprio Statuto con le finalità e le regole interne.
Una seconda consente il voto per corrispondenza agli studenti italiani impegnati in università europee nell’ambito dei progetti Erasmus, ma anche a coloro che si trovano in uno dei Paesi membri per motivi di lavoro o di cure mediche. Per tutti, il periodo minimo di permanenza all’estero per poter votare è di tre mesi.